La guerra in Ucraina ha acuito processi di frammentazione dell’ordine globale che erano in realtà in atto già da tempo. Si è assistito, quello sì, al ricompattamento di un blocco euro-americano attraversato fino al febbraio 2022 da profonde divisioni; e vi è stata una parallela intensificazione della partnership tra gli Usa e vari loro alleati nell’Indo-Pacifico. E però a queste dinamiche d’integrazione regionale – transatlantica e transpacifica – si sono accompagnate diverse fratture e ricomposizioni, dalla formazione per quanto embrionale di un asse russo-cinese (particolarmente sbilanciato a favore di Pechino) alle prese di posizione di chi – dal Brasile al Sudafrica, dall’India alla Turchia – rifiuta di schierarsi dentro una partizione seccamente binaria delle alleanze.
Non sappiamo se si tratti davvero dell’avvio di una “deglobalizzazione” dopo decenni di accelerata integrazione globale. L’infrastruttura di questa integrazione è più solida e radicata di quanto non si creda, come ci mostrano tanti dati, a partire da quelli sul commercio mondiale. Ma questo ordine integrato ha perso progressivamente di legittimità e viene oggi rigettato persino dall’egemone del sistema, quegli Stati Uniti dove si promuovono politiche protezionistiche e di sussidi alle imprese nazionali e si cerca di disaccoppiare la propria economia da quella cinese.
In questo contesto, si immaginano e costruiscono nuove iniziative regionali (come nel caso del recente summit tra Cina e cinque Stati dell’Asia Centrale). Ovvero si riattivano fora multilaterali che ambiscono a ridefinire gli equilibri globali e a contestare l’egemonia degli Usa e il sistema di alleanze su cui essa poggia. Lo abbiamo visto, ad esempio, nell’incontro dei Ministri degli Esteri dei BRICS di qualche settimana fa cui farà seguito il vertice dei loro Capi di Stato a Johannesburg nel prossimo agosto. BRICS è l’acronimo con cui da circa vent’anni si indicano cinque giganti, presenti e potenziali, come Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. Paesi il cui peso relativo nell’economia globale è cresciuto nel corso del XXI secolo, così come sono cresciuti gli investimenti diretti tra di loro. Un blocco in gran parte informale, quello dei BRICS, che si è dotato però di alcune istituzioni, su tutte la sua New Development Bank (NDB), con base a Shanghai. E che ora ambisce sia a rafforzarsi, creando forme di collaborazione più profonda con altri paesi (dall’Iran all’Argentina), sia a dare forma a un ordine economico alternativo, che passi anche sottraendo agli Usa il “privilegio esorbitante” dall’avere la valuta, il dollaro, utilizzata negli scambi e come unità primaria di riserva.
La de-dollarizzazione pare costituire uno degli obiettivi primari dei BRICS e lo strumento fondamentale con cui scardinare l’ordine americano-centrico della globalizzazione contemporanea. Ma è un progetto davvero realistico? E i BRICS offrono una risposta credibile alle storture del sistema internazionale corrente, ai doppi standard che lo connotano e ai tanti privilegi che ne derivano per taluni, Stati Uniti su tutti?
Al riguardo è lecito nutrire più di un dubbio e i fallimenti di grandi progetti di contestazione dell’ordine internazionale, e del primato statunitense – dal neutralismo degli anni Cinquanta e Sessanta ai presunti nuovi ordini economici dei decenni seguenti – offrono un monito importante. Due, in grande sintesi, paiono essere le fragilità (e le contraddizioni) del progetto dei BRICS. La prima è la limitata complementarità dei loro sistemi economici, evidenziata anche da volumi di scambi commerciali e di investimenti diretti cresciuti molto nel primo decennio del XXI secolo e rimasti in larga parte stagnanti in quello successivo. Nella loro grande diversità, vi sono economie assai arretrate e poco produttive come quelle russa e sudafricana, altre maggiormente esposte alle fluttuazioni dei prezzi delle materie prime (Brasile) o segnate da profonde tensioni e monumentali diseguaglianze (l’India). E vi è infine il vero gigante del gruppo, la Cina. E questo ci porta al secondo problema: i BRICS possono pesare di più solo se funzionali (e quindi subordinati) agli obiettivi di Pechino. Dentro un ordine che per buona pace di tutti si configura sempre più come bipolare, centrato ciò su un duopolio Cina-Usa connotato a sua volta da contraddizioni fortissime: da un’interdipendenza economica ancora assai profonda e da forme di competizione e antagonismo sempre più visibili e ostentate.
Il Giornale di Brescia, 18 giugno 2023

Riflessione interessantissima. Un’altra domanda che si può fare sulle potenziali fragilità del BRICS riguarda la possibilità di issue linkage tra la Cina e L’India. I due paesi hanno dispute territoriali ancora non risolte. Nel 2020, gli eserciti di entrambi si sono scontrati in una zona contesa. E si può ricordare della partecipazione dell’India nel QUADS. In caso di nuova escalation tra Cina e India, potrebbe la cooperazione nell’ambito del BRICS subire un impatto e indebolirsi?
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