Sugli Usa e la continuazione degli aiuti all’Ucraina

Dall’accordo raggiunto alla Camera dei rappresentanti che ha evitato lo shutdown – la serrata di tante attività del governo federale – sono stati stralciati 6 dei 24 miliardi di dollari che l’amministrazione Biden vorrebbe destinare all’Ucraina. Un compromesso accettato a fatica dal Presidente e dai democratici, senza il quale non sarebbe però stato possibile giungere alla convergenza bipartisan con una parte del partito repubblicano. In toto o in parte, quegli aiuti saranno stanziati, con strumenti esecutivi che Biden ha già dispiegato in passato o quando questo compromesso a tempo assai determinato (45 giorni) terminerà e un’intesa più solida e duratura dovrà essere trovata, pur in contesto di grande precarietà e, al momento, di paralisi provocata dalle divisioni interne al partito repubblicano che hanno portato alla rimozione dello speaker della Camera Kevin McCarthy.. Il fronte bipartisan favorevole alla continuazione del sostegno a Kiev rimane ancora maggioritario: al Congresso e – lo mostrano molti sondaggi – anche nel paese.

E però qualcosa è cambiato e sta cambiando. La linea pro-ucraina è contestata e meno popolare. Le condizioni politiche che l’hanno permesso sono in parte venute meno. Quali sono le ragioni? Tre, in grande sintesi, sono le risposte possibili.

La prima si lega ovviamente al voto del 2024. Stiamo ormai entrando dentro un lungo ciclo elettorale, che radicalizza le posizioni – come ben vediamo nelle primarie repubblicane – e riduce l’attenzione e l’interesse verso la politica estera e di sicurezza. Una condizione, questa, che incentiva la contestazione delle scelte dell’establishment e prende di mira anche la politica ucraina dell’amministrazione, soprattutto da parte di una Destra per la quale si tratta di un conflitto che riguarda primariamente l’Europa e di cui gli alleati di Washington si devono quindi fare carico.

La seconda risposta ha a che fare invece con l’andamento del conflitto. Gli Usa hanno ottenuto molti degli obiettivi che si erano inizialmente posti con il loro sostegno all’Ucraina. Ambizioso o limitato esso fosse, il disegno revisionista russo è stato di certo fermato. La NATO si è ricompattata ed allargata, spostando decisamente a est il suo baricentro.  In questo spazio euro-americano, si è riaffermata e rilegittimata l’egemonia federatrice degli Stati Uniti. Come si è riaffermata la credibilità del deterrente militare statunitense, in parte minata dalle fallimentari guerre del XXI secolo e dall’umiliante uscita dall’Afghanistan. Infine, i pesantissimi costi imposti alla Russia – si ritiene a Washington – sono serviti non solo a indebolirla sostanzialmente, ma anche a dare un chiaro messaggio al vero rivale di potenza degli Usa ossia la Cina. Al contempo, però, le speranze riposte nella controffensiva ucraina sembrano essere state disattese e diffuso, anche tra molti esperti statunitensi, è il timore che gli oneri umani e materiali di una protratta guerra di attrito possano in ultimo risultare controproducenti e indebolire l’alleato ucraino.

Terzo e ultimo: la scarsa popolarità sia delle politiche di aiuti esteri sia della grammatica – atlantica e internazionalista – con cui se ne giustifica e spiega la necessità. Gli aiuti internazionali, a volte lo dimentichiamo, non sono mai stati particolarmente popolari negli Usa, soprattutto presso un elettorato conservatore sensibile agli slogan di chi li denuncia come uno sperpero di risorse pubbliche e un’indebita sottrazione di soldi che dovrebbero essere invece destinati a investimenti interni. Da anni è peraltro egemone nel discorso pubblico e nella retorica politica un nazionalismo che può essere declinato nei toni estremi di Trump e della destra repubblicana, ma anche in quelli più moderati del protezionismo economico e dei sussidi industriali di Biden. Un nazionalismo che mal si concilia con politiche estere interventiste e aiuta anch’esso a spiegare la popolarità calante del sostegno a Kiev.

Il Giornale di Brescia, 5 ottobre 2023

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Di Mario Del Pero

Professore di Storia Internazionale e di Storia degli Stati Uniti all'Institut d'études politiques - SciencesPo di Parigi

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