1914, 1939, 1973, 2021. Sull’uso – e l’abuso – delle analogie storiche …..

Il 1914 e lo scoppio della Grande Guerra; il 1939 e il secondo conflitto mondiale; l’ottobre 1973 e lo Yom Kippur; l’11 settembre 2001 e la successiva guerra globale al terrorismo. In queste giornate tragiche e spaventevoli, molti si affidano alle analogie e alle presunte lezioni della storia per leggere e interpretare quanto sta accadendo. Modelli o anti-modelli, questi, che avrebbero una valenza analitica (aiutano a comprendere), predittiva (permettono di prevedere) e prescrittiva (indicano come agire o schierarsi). Vi è una certa strumentalità dentro questo modo di ragionare analogico: nell’affidarsi al passato per dare senso al presente, prevedere il futuro e indicare la strada da percorrere E la supposta neutralità delle lezioni della storia maschera in realtà spesso posizioni (e prescrizioni, appunto) ben precise. Chi usa l’analogia del 1914 tende ad avere una posizione critica nei confronti d’Israele o Ucraina (e di chi ne appoggia l’azione militare) e la giustifica con il rischio di un’escalation globale che come allora trasformi le grandi potenze in “sonnambuli,” nella metafora dello storico Christopher Clark, inconsapevolmente avviate verso l’abisso di un conflitto mondiale. Chi si affida a quella del 1939 legge quanto sta accadendo come una replica, aggiornata, di un grande conflitto tra democrazia e autoritarismo, libertà e dispotismo, a cui talora si aggiunge quella tra l’Occidente, che avrebbe in Israele la sua ultima cittadella assediata ai confini della barbarie orientale, e il resto del mondo. Una lettura – questa dello scontro di civiltà – che ritorna anche nell’analogia dell’11 settembre, peraltro utilizzata in chiave negativa anche da chi, incluso Biden, sollecita invece a non ripetere gli errori commessi dagli Usa dopo gli attacchi al Pentagono e alle Torri Gemelle.

Cercare nella storia e nell’esperienza una bussola per orientarsi meglio è per molti aspetti naturale e finanche fisiologico. Rischia però di essere assai problematico se non addirittura pericoloso, oltre che paradossalmente fondato su un modo a-storico di ragionare. Da un lato, letture cicliche o ripetitive della storia oscurano la sua natura di processo complesso, mai lineare e perennemente in divenire; dall’altro, le ardite comparazioni tra l’oggi e un passato più o meno lontano – che tanto piacciono a molte scienze sociali – tendono ad azzerare il tempo e, nel farlo, a dimenticare l’unicità del presente con cui siamo chiamati a confrontarci. I cortocircuiti sono plurimi, su tutti la perdita della lezione primaria che lo studio della storia in realtà ci indica: di guardare dentro la sua opaca complessità per cercarne di studiarne il dispiegarsi. La storia serve non perché offre facili analogie e lezioni inequivoche; non perché dà, utilitaristicamente, una sorta di sapere pratico e applicato, come vanno sostenendo da qualche tempo studiosi sempre alla caccia dei riflettori mediatici e della fama che ne consegue. La consapevolezza storica forza al contrario tutti, decisori compresi, a ragionare in termini complessi; a non dare mai nulla per scontato; a considerare la pluralità di fattori e cause che sottostanno a un dato problema.

Nel caso specifico di questa nuova, terribile fase del conflitto israelo-palestinese, tale consapevolezza storica è ancor più indispensabile per evitare schemi di lettura semplicistici che generano analisi parziali e approssimative, e prescrizioni al meglio inutili e al peggio dannose. Serve per contestualizzare e, nel farlo, per mettersi nei panni di una parte come dell’altra. E aiuta a sottrarsi agli schemi, a loro volta immensamente pericolosi, di chi oggi pensa di poter legare tutti i fronti di crisi – l’Ucraina, il Medio Oriente, Taiwan – dentro partizioni binarie da risolversi con nuove crociate democratiche e occidentali, di chi vede cabine di regia russe o cinesi dietro Hamas, o di chi arriva a rappresentare quest’ultimo come attore politico legittimo, erede di tanti movimenti di liberazione nazionale del XX secolo. Il 2023 non è né il 1914, né il 1939, né il 2001. Studiare bene la storia aiuta a esserne consapevoli e, anche, a restare umili di fronte all’immensa e unica complessità dell’oggi.

Il Giornale di Brescia, 6 novembre 2023

Avatar di Mario Del Pero

Di Mario Del Pero

Professore di Storia Internazionale e di Storia degli Stati Uniti all'Institut d'études politiques - SciencesPo di Parigi

Lascia un commento