Henry Kissinger, americano ed europeo

La morte di Henry Kissinger ha generato una straordinaria ondata globale d’interesse, curiosità, celebrazioni e critiche. Ci ha mostrato una volta ancora la potenza e diffusione della mitologia kissingeriana. Di un mito – quello dell’intellettuale onnisciente e dello statista illuminato e coraggioso – che è per molti aspetti stridente rispetto alla realtà dell’uomo Henry Kissinger. Che fu studioso di relazioni internazionali molto più convenzionale e ortodosso di quanto non si tenda a credere. E uomo di governo – Consigliere per la Sicurezza Nazionale (1969-75) e Segretario di Stato (1973-77) – meno intraprendente e abile di quello presentato in molte ricostruzioni dell’epoca. Gli esempi di questi limiti, intellettuali e politici, abbondano dal suo sostenere a fine anni 50 che vi fosse un inesistente gap missilistico a favore dell’Urss al suo appoggio all’intervento in Vietnam al suo sostenere fino all’ultimo che il bipolarismo della Guerra Fredda fosse un sistema stabile e destinato a durare. E sono ben noti agli storici che se ne sono occupati.

La domanda da porsi, allora, è perché questo mito sia stato – e continui a essere in questi giorni – tanto longevo, potente e resistente. Perché si continua a dire, e voler credere, che Henry Kissinger sia stato ad esempio l’architetto dell’apertura alla Cina nel 1972, uno dei momenti più importanti delle relazioni internazionali contemporanee, quando documenti e studi hanno rivelato da tempo che fu il Presidente Nixon a immaginarla e promuoverla, contro il manifesto scetticismo iniziale del suo Consigliere per la Sicurezza Nazionale.

Quali sono le matrici del mito e della sua forza? Del tempo che i media mondiali stanno dedicando alla sua morte così come lo dedicarono al suo compleanno, il centesimo, il maggio scorso?

Due sono le possibili risposte. Che rimandano anch’esse a una contraddizione, se non una vera e propria tensione dialettica, di Kissinger e della sua parabola: l’essere stato (e l’esser stato rappresentato) come paradigma tanto d’Europa quanto d’America. Averle incarnate entrambe di fronte a pubblici spesso diversi, quello interno statunitense e quello mondiale.

Per il primo, l’ebreo immigrato col suo marcato accento tedesco ha simboleggiato un’Europa quasi pedagogica: pronta a insegnare con grande generosità agli Stati Uniti le leggi perenni e inscalfibili delle relazioni internazionali e della politica di potenza. Pronta ad aiutare questa America ingenua e immatura a diventare finalmente adulta facendosi carico – con fermezza e abilità – delle responsabilità che la storia le ha conferito ossia di essere la principale potenza mondiale e l’attore indispensabile dell’ordine globale.

Per l’opinione pubblica internazionale, Kissinger è stato sì questa Europa ma anche parabola e incarnazione dell’America. I suoi cent’anni di vita sono stati quelli di un secolo americano nel quale gli Stati Uniti assorbivano – dentro l’idea e il progetto politico di un grande Occidente – l’Europa e ne diventavano guida e faro. Una parabola che s’intrecciava con quella individuale di Kissinger, che emigrava negli Usa appena quindicenne, entrava nella comunità ebraica newyorchese, sfruttava la Seconda Guerra Mondiale per venire pienamente integrato – per diventare “americano” – e grazie ai programmi per i veterani di guerra poteva studiare a Harvard e diventare parte di un’élite fattasi negli assai più composita e inclusiva. Senza mai rinunciare, peraltro, a giocare il ruolo del sobrio europeo prestato all’America, pronto a spiegare – soprattutto nei momenti di crisi e di difficoltà del paese – come muoversi sulla scena globale: come tutelare l’interesse nazionale, senza cadere in ingenui e velleitari idealismi. Un discorso della crisi, quello di Kissinger, che aiuta anch’esso a spiegare le matrici del mito kissingeriano e il suo impetuoso ritorno in questi ultimi anni.

Il Giornale di Brescia, 1 dicembre 2023

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Di Mario Del Pero

Professore di Storia Internazionale e di Storia degli Stati Uniti all'Institut d'études politiques - SciencesPo di Parigi

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