Il viaggio di Blinken in Medio Oriente

Quello che si concluderà domani è il quarto viaggio in Medio Oriente del Segretario di Stato statunitense Antony Blinken dopo la strage perpetrata da Hamas il 7 ottobre scorso. A dimostrazione dell’impegno che gli Usa stanno profondendo nel cercare una soluzione. Ma anche della loro impotenza rispetto a una crisi avviluppatasi in una spirale dalla quale si fatica a intravedere una via d’uscita.

A cosa serve questa ennesima visita? Quali sono gli obiettivi degli Stati Uniti? E perché il loro raggiungimento è così difficile?

Quattro sono, in grande sintesi, le risposte possibili. Innanzitutto, Washington vuole evitare a tutti i costi un’escalation del conflitto che renderebbe ancor più infiammabile il contesto regionale e obbligherebbe quasi certamente gli Usa a un intervento diretto a fianco dell’alleato israeliano. Per prevenire questa escalation, e consolidare la credibilità del loro deterrente militare, gli Stati Uniti hanno subito aumentato la loro presenza nell’area. E hanno esercitato una forte pressione su quei paesi – Turchia in particolare – maggiormente ostili a Israele e tolleranti verso Hamas. Non è un caso che il viaggio di Blinken sia iniziato proprio ad Ankara, dove il segretario di Stato ha incontrato il Presidente Erdogan. E dove le discussioni hanno toccato punti anche non direttamente collegati all’azione israeliana a Gaza, su tutti gli aiuti militari statunitensi all’alleato turco in parte congelati in attesa che la Turchia permetta l’ingresso della Svezia nella NATO. E questo ci porta al secondo scopo della visita: quello di rendere chiaro a tutti i paesi dell’area che gli Usa dispongono ancora di leve di pressione forti, che possono essere dispiegate per punire o premiare i comportamenti dei loro vari interlocutori. La Turchia, ad esempio, agisce da tempo come una sorta di spregiudicato battitore libero. Rimane però membro dell’Alleanza Atlantica oltre che soggetto più fragile e vulnerabile di quanto talora non si creda, come evidenziato qualche anno fa – sotto Trump – dagli effetti immediati sulla valuta turca della minaccia statunitense di adottare misure economiche punitive contro Ankara.

Il terzo obiettivo è quello di coinvolgere i diversi paesi arabi in un’azione politica e diplomatica concertata con lo scopo di sostenere (e rilegittimare) l’Autorità Nazionale Palestinese e, nel caso dei ricchi regimi del Golfo, fornire le risorse economiche indispensabili alla futura ricostruzione di Gaza e al consolidamento di qualsiasi entità statuale palestinese che dovesse finalmente sorgere.

Quarto e ultimo obiettivo: moderare Israele, dissuadendolo dalla tentazione di provocare escalation regionali, soprattutto in chiave anti-iraniana, che alcuni membri del gabinetto di Netanyahu invece invocano, sollecitandolo ad agire in modo più selettivo e meno sproporzionato nelle operazioni militari a Gaza, e convincendolo ad accettare un significativo aumento degli aiuti umanitari alla popolazione stremata della Striscia. Da parte turca e araba si chiede un cessate il fuoco immediato che non è, oggi, realistico; quello che gli Usa possono però fare è cercare di attutire gli effetti della terribile rappresaglia lanciata da Israele dopo il 7 ottobre.

Si tratta di obiettivi strettamente interrelati. Che dipendono cioè gli uni dagli altri. Ed è questo che rende tanto improba l’azione degli Stati Uniti. Per avere successo, essa necessiterebbe infatti di un cambiamento nell’approccio d’Israele che non pare all’orizzonte, di un interlocutore palestinese credibile e legittimo a oggi assente, di partner regionali capaci di coordinare la propria azione che per il momento mancano. E la sensazione fortissima è che tutti questi viaggi segnalino, come si diceva, soprattutto frustrazione e impotenza, in un contesto dove gli Usa, e l’amministrazione Biden, sembrano avere molto da perdere e poco da mettere sul tavolo.

Il Giornale di Brescia, 10 gennaio 2024

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Di Mario Del Pero

Professore di Storia Internazionale e di Storia degli Stati Uniti all'Institut d'études politiques - SciencesPo di Parigi

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