Macron va alla guerra

Emmanuel Macron non indietreggia e anzi rilancia. Firma un accordo bilaterale di cooperazione sulla sicurezza con Kiev; non esclude la possibilità di inviare soldati francesi in Ucraina; alza il tono dello scontro retorico con Putin e la Russia, di cui invoca ora una piena “sconfitta” militare. Quella stessa Russia che poche settimane dopo l’inizio della guerra Macron invitava invece a non umiliare, assumendo allora una posizione molto moderata dentro il fronte atlantico.

Il cambiamento è rapido e radicale. E sembra isolare la Francia, con gli altri governi europei che ne prendono le distanze e gli Usa vieppiù introflessi in un ciclo elettorale che tende a paralizzarne la politica estera e di sicurezza. Come spieghiamo una svolta tanto repentina quanto poco realistica? Si possono ipotizzare tre risposte, ciascuna delle quali non esclude necessariamente le altre.

La prima rimanda a quella che per convenienza potremmo riassumere come la dimensione “strategica”. Di fronte a una Russia che dopo le difficoltà del primo anno pare avere riorganizzato le fila e piegato il suo apparato produttivo alle esigenze della guerra, la Francia ritiene fondamentale prospettare un impegno assai maggiore, suo e dei suoi alleati, per offrire un monito forte a Mosca. I termini di questo monito – in che cosa possa cioè consistere un maggiore impegno – sono deliberatamente vaghi, che si vuole appunto creare un’“ambiguità strategica” capace, sulla carta, di massimizzare l’effetto deterrente delle dichiarazioni del Presidente francese e, con esso, inibire eventuali, più ampie ambizioni revisionistiche di Putin.

La seconda risposta ci porta invece su un terreno tutto elettorale. Il Presidente francese è in evidente difficoltà politica e corre il rischio di una pesante sconfitta alle prossime elezioni per il Parlamento Europeo. I sondaggi danno l’estrema Destra del Rassemblement National (RN) addirittura oltre il 30% e la coalizione macroniana attorno al 18%. Estrema Destra che in passato ha avuto legami assai stretti (e finanche torbidi) con la Russia e la cui leader Marine Le Pen ha più volte sostenuto la necessità di un partenariato più stretto tra Mosca e Parigi. Enfatizzare la portata della minaccia rappresentata da Putin e prospettare azioni radicali per farvi fronte serve in una certa misura a portare la questione russa dentro la campagna elettorale e a denunciare i cavalli di Troia di Mosca in Francia e in Europa. Un’azione, questa, che vede in prima linea anche il premier Gabriel Attal, che nelle ultime settimane ha in più occasioni accusato Le Pen e il RN di essere al soldo del nemico.

Terzo e ultimo: la dimensione politico-diplomatica. Di fronte alla crescente passività statunitense, con il Congresso che non autorizza nuovi stanziamenti a Kiev, e al rischio concreto di una vittoria di Trump con un conseguente pieno disimpegno degli Usa, Macron ambisce a prendere la guida di un campo europeo che si pretende capace, per scelta e necessità, di fronteggiare fermamente la Russia anche senza gli Usa. Ribadisce il suo auspicio che l’Europa maturi una maggiore autonomia strategica e, nel farlo, accetti la leadership della sua principale potenza militare, la Francia. Omettendo però di riconoscere che finora gli aiuti materiali inviati da Parigi all’Ucraina sono stati assai limitati, in termini assoluti e ancor più relativi, e di molto inferiori a quelli tedeschi e britannici. Questo visibile scarto tra retorica e atti è solo una delle tante contraddizioni di un’iniziativa, quella di Macron, rivelatasi sinora alquanto velleitaria. Che ambiva forse a unire l’Europa sotto la guida francese, ma che al momento ha sortito l’effetto di dividerla ancora di più.

Il Giornale di Brescia, 19.3.2024

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Di Mario Del Pero

Professore di Storia Internazionale e di Storia degli Stati Uniti all'Institut d'études politiques - SciencesPo di Parigi

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