Sulla SciencesPo di Kepel

Ritorno per una ultimissima volta sulla famosa intervista di Kepel al Corriere (stimolato da due chiacchiere appena fatte al riguardo su Radio Radicale). Kepel individua due problemi che avrebbero stravolto la bella e vecchia SciencesPo di un tempo:

a) I programmi attivati negli ultimi due decenni per ampliare e diversificare il corpo studentesco, che fino a inizio 2000 venivano da pochi, selezionatissimi licei. Programmi, questi, che hanno creato percorsi specifici per far entrare a SciencesPo studenti di licei delle banlieues svantaggiate (le famose zones d’education prioritaire), inclusi figli d’immigrati;
b) L’internazionalizzazione del corpo docente, di quello studentesco, della ricerca e dell’insegnamento.

È, numeri alla base e se comparata con gli Usa, un’affirmative action in realtà molto blanda quella promossa da SciencesPo. Combinandosi con l’internazionalizzazione ha però trasformato radicalmente l’istituzione. Che rimane – a dispetto di tutto – fucina delle élite francesi (Attal si è laureato qui nel 2013 come del resto Macron nel 2001; SciencesPo, in questi anni di trasformazione, continua a mandare l’80/90% degli studenti ammessi all’ENA/INSP, la selettivissima scuola di formazione all’alta funzione pubblica). Ma che è diventata università di ricerca internazionale e sostanzialmente bilingue. Premiata dai ranking (per quel che contano, per me molto poco). Capace di attrarre finanziamenti corposi per la ricerca e di costruire grandi partenariati: multi-ateneo (la prima università europea, CIVICA) e bilaterali (non sto qui a farvi la lista). Attiva nel mettere in piedi master e dottorati congiunti con una pluralità di partner eccellenti.

Ecco, Kepel – che qualche anno fa, quando era ancora da noi, faceva battaglie contro l’uso dell’inglese a SciencesPo – trova ciò disdicevole: democratizzazione, apertura, diversità, internazionalizzazione. Benissimo; suo diritto. Chi si spertica le mani qui sui social – tra cui pure non pochi colleghi che si pretendono di sinistra – ce lo dica però che per la sua idea di università era molto meglio la SciencesPo in cui metà studenti venivano dall’Henry IV, il Louis Le Grand e il Fenelon, dove si parlava solo francese, si faceva poca o nulla ricerca, e soprattutto non c’erano studenti, come dire…. destinati per nascita a starsene buoni e zitti in altri posti.

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Di Mario Del Pero

Professore di Storia Internazionale e di Storia degli Stati Uniti all'Institut d'études politiques - SciencesPo di Parigi

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