La prima condanna di Trump

Si prevedevano giorni se non settimane di discussioni tra i giurati e il rischio concreto che l’unanimità necessaria per la condanna non fosse mai raggiunta. E invece sono bastate poche ore per approvare tutti i 34 capi di accusa di cui Trump era incriminato. L’11 luglio il giudice comunicherà l’entità della pena inflitta all’ex Presidente. Che nel mentre avrà già presentato la richiesta di appello. È quasi impossibile che Trump dovrà scontare un periodo in prigione – la semplice gestione logistica di una sua eventuale incarcerazione è inimmaginabile. Più probabile invece un periodo di libertà vigilata e una possibile sanzione pecuniaria.

Gli Stati Uniti entrano così nella terra incognita, e per tanti aspetti irreale, di un confronto politico in cui un ex Presidente, credibile candidato a un secondo mandato, ha subito una condanna penale. Alcune cose le sappiamo. Anche se condannato, ad esempio, Trump potrà comunque continuare a correre per la Presidenza. Le soglie fissate dalla costituzione si limitano all’età minima (35 anni), la nascita (sul territorio statunitense), la residenza (almeno 14 anni negli Usa). Nulla si dice invece riguardo alla fedina penale. Su altri aspetti rimangono invece numerosi punti di domanda. Cosa avverrà se Trump dovesse essere eletto? Che tipo di conflitto vi sarà tra il potere federale e quello statale per quei due processi (questo di New York e quello per le tentate frodi elettorali in Georgia) che ricadono sotto la giurisdizione appunto degli Stati? In che modo Trump userà i poteri esecutivi per sottrarsi alla giustizia?

Dentro le nebbie di quel che potrebbe seguire questa condanna, si possono ora come ora avanzare tre considerazioni. La prima, tutta politica ed elettorale, è che sia Trump sia Biden cercheranno di trarne il massimo vantaggio possibile. Il primo usandola come evidenza della corruzione ultima della politica e delle istituzioni statunitensi (di loro oggi deboli e finanche delegittimate) a cui contrapporre un popolo che con il leader carismatico deve avere un rapporto diretto e non mediato. Biden e i democratici la presenteranno al contrario come validazione di una narrazione – quella della minaccia che Trump pone alla democrazia – che sappiamo essere assai mobilitante per il loro elettorato.

La seconda considerazione riguarda proprio la democrazia. Che da questo processo e da quel che sta seguendo esce ancor più ferita e umiliata. Della fatica e della crisi della democrazia statunitense, lo abbiamo scritto più volte, Trump è il prodotto più che la causa: l’effetto e non la matrice. E però tutta la sua esperienza presidenziale e post-presidenziale ha iniettato ancor più veleno dentro il corpo malato e in sofferenza di questa democrazia. Ne ha esasperato difficoltà destinate ad acuirsi ancor più nei lunghi mesi che ci separano dal voto di novembre.

Anche perché, terza e ultima considerazione, ora Trump corre davvero per salvarsi ed evitare ulteriori condanne e, forse, la stessa prigione. Vi sono altri incriminazioni e processi che pendono sulla sua testa. Per reati ben più gravi di quelli per cui è stato condannato a New York. In caso di ritorno alla Casa Bianca, potrà imporre al dipartimento di Giustizia di bloccare i due processi federali e aprire, si diceva, un conflitto aperto con New York e Georgia (ma la seconda si rimetterebbe quasi certamente in riga). Qualora fosse Biden invece a vincere, Trump non potrà più sottrarsi a una giustizia che già ieri ha iniziato a presentargli il suo conto.

Il Giornale di Brescia, 1 giugno 2024

Di Mario Del Pero

Professore di Storia Internazionale e di Storia degli Stati Uniti all'Institut d'études politiques - SciencesPo di Parigi

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