Doveva essere – e almeno formalmente sarà – un momento di celebrazione questo vertice NATO nel 75o anniversario della firma del Patto Atlantico. Celebrazione per la solidità e resilienza di un’alleanza che ha prodotto forme di collaborazione e integrazione securitaria per certi aspetti senza precedenti nella storia. E celebrazione della ritrovata unità d’intenti della NATO, conseguenza dell’aggressione russa all’Ucraina e dell’asserito ritrovato scopo originario dell’alleanza, ossia il contenimento di Mosca. Dichiarata da Macron in stato di “morte cerebrale” alla fine del 2019, in poco tempo la NATO ha visto così rilanciata la sua missione, rafforzata sua operatività e ulteriormente esteso il suo perimetro, che ora include due stati (e medie potenze militari regionali) come Finlandia e Svezia.
E però rimangono sulla tavola problemi oggi più visibili e acuti rispetto solo a pochi mesi fa, che temperano gli entusiasmi e smorzano le celebrazioni. Problemi in parte storici, di un’alleanza la cui crisi e potenziale implosione sono state preconizzate molteplici volte nel corso dei suoi 75 anni di vita. Ma che nel 2024 paiono assumere connotati almeno in parte nuovi. Per convenienza li possiamo racchiudere in tre grandi categorie, strettamente intrecciate, che rimandano alla dimensione ideologica, a quella strategica e militare, e a quella politica.
L’ideologia, innanzitutto. Ovvero i codici fondamentali di una narrazione atlantista che ha sempre accompagnato il processo di costruzione e sviluppo dell’alleanza, vieppiù centrato sull’idea che essa costituisca la partnership naturale dei membri di un Occidente tanto democratico quanto superiore in termini di solidità istituzionale, garanzia dei diritti e capacità di sviluppo economico. Una narrazione per tanti aspetti problematica; ideologica, appunto. Ma la cui credibilità oggi appare ancor più debole e contestata, in un mondo dove lo scarto di potenza – militare e ancor più economico – tra l’Occidente e il resto del mondo è drasticamente diminuito (per usare un parametro semplice e immediato, nel dopo Guerra Fredda la percentuale del PIL globale prodotta dai membri del G-7 – sei paesi NATO più Giappone – è scesa da quasi il 50 a meno del 30%). E dove i doppi standard utilizzati da questo Occidente, e dagli Usa in particolare, rispetto all’applicazione del diritto internazionale e di guerra, e le patenti difficoltà delle democrazie europee e statunitense erodono ancor più tale credibilità.
Se passiamo all’aspetto strategico e militare, non si può non rimanere colpiti da un deficit operativo che molti analisti, taluni fortemente simpatetici verso la NATO, non mancano mai di rimarcare: lo scarto, cioè, tra gli impegni dell’alleanza e le sue effettive capacità. La crisi ucraina e le pressioni statunitensi hanno indotto alcuni paesi europei ad aumentare le spese militari e ad avviare piani industriali per accrescere le proprie capacità in tale ambito. E si è cercato di sostanziare anche operativamente un allargamento a est della NATO che per molti anni è stato limitato alla dimensione politica e diplomatica, con il cortocircuito di un’alleanza che formalmente estendeva i suoi impegni riducendo contestualmente i mezzi necessari a garantirli (in trent’anni, la spesa militare rispetto al PIL dei 16 membri della NATO pre-1989 è praticamente dimezzata, passando dal 3.7 all’1.8% tra il 1990 e il 2020). Il gap tra obiettivi e strumenti, fini e capacità, rimane però marcato e di certo non colmabile in tempi brevi.
Anche perché il quadro politico non è oggi particolarmente propizio. La polarizzazione, europea e statunitense, spesso rafforza partiti anti-atlantisti o critici di questa NATO. Sono però soprattutto gli Stati Uniti a costituire un problema. Da un lato, un fronte ampio e politicamente trasversale dell’opinione pubblica appare oggi riluttante a sostenere politiche estere proattive e onerose e a sostenere quindi il rilancio dell’alleanza. Dall’altro il principale campione (e cantore) di questo nuovo atlantismo, il Presidente Biden, è chiaramente in difficoltà e difficilmente rimarrà in sella per un secondo mandato. La NATO, a volte lo si dimentica, rimane un’alleanza profondamente asimmetrica, con un soggetto superiore – gli Stati Uniti – che guida e federa gli altri, come abbiamo visto anche rispetto all’Ucraina. Senza la leadership attiva di questo soggetto perde di senso ed efficacia. E la storia di questi 75 anni, più che la loro celebrazione, è lì a ricordarcelo.
Il Giornale di Brescia, 11 luglio 2024
