Di Olimpiadi e (surreale) francofobia

Vivo e lavoro a Parigi ormai da più di dieci anni. Non è mai diventata la “mia” città, come lo è stata invece a suo tempo New York (o, molto più in piccolo, Bologna). Ho imparato ad apprezzarne e, talora, ad amarne alcuni tratti altri dalla sua bellezza: la sua metropolitana cingolante, puzzolente e nondimeno straordinariamente funzionale ; la sua ostentata ruvidezza; i suoi spazi pubblici dove leggere, riposare e ammirare quel che li circonda; la routine quasi quotidiana della corsetta lungo Senna, passando per il parco André-Citroen. E tanto, tanto altro, a partire da alcuni servizi che a dispetto delle leggende gratuiti non sono (la mutua integrativa la paghi, e non poco), ma che possono essere di qualità straordinaria: la gravidanza di Ale, divisa tra Parigi e Edimburgo, il Necker e il Royal, ci ha offerto una comparazione impietosa tra la sanità francese e quella (terrificante, ormai) britannica. E ho visto al contempo confermati molti dei pregiudizi che avevo: sulla inconsapevolezza di tanti parigini, che ancora non capiscono che non siamo più nel 1890; sulla loro quasi grottesca scortesia; sui loro di pregiudizi, verso l’Italia, les “anglo-saxons” e, anche se non più, il resto della Francia.

Passando un po’ di più tempo in Italia, e guardando da qui queste meravigliose Olimpiadi, mi sono però reso conto di quanto radicata sia nel nostro paese una sconcertante francofobia che si nutre di complessi d’inferiorità, ignoranza e, oggi, facile strumentalizzazione politica. Lo vediamo bene proprio nel commento, giornalistico e social, sulle Olimpiadi. Che hanno problemi organizzativi come tante di queste manifestazioni; cadute di gusto, come accade sempre in queste kermesse; momenti di grossolano sciovinismo, peraltro congeniti alle competizioni sportive. Che, a seconda dei nostri gusti e delle sensibilità, hanno cose splendide e altre impresentabili (tra le prime, la bellezza di Parigi trasformata in arena naturale di tanti eventi sportivi: la scherma, che io trovo sport inguardabile e di cui non capisco nulla, meritava solo per il Grand Palais così come il tiro con l’arco all’Invalides). Eppure sulle olimpiadi di Parigi si è scaricato un fuoco di fila che non si era mai visto per altri eventi sportivi, manco per gli (osceni) mondiali di calcio in Qatar o il casino assurdo che furono le Olimpiadi di Rio del 2016. Io non so se ci siano davvero dietro i Bot russi, come sostengono taluni, anche se tendo sempre a essere scettico su questi complotti ed eterodirezioni. Di certo dà da pensare e, al solito, non facciamo ‘sta gran figura

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Di Mario Del Pero

Professore di Storia Internazionale e di Storia degli Stati Uniti all'Institut d'études politiques - SciencesPo di Parigi

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