Verso il voto. La frattura di genere e le strategie elettorali

Cominceranno ad arrivare nella notte italiana tra martedì e mercoledì i primi responsi di queste cruciali elezioni statunitensi. Quasi sicuramente dovremmo attendere però molte ore, o forse addirittura dei giorni, per avere i risultati definitivi. E se questi – come lasciano presagire quasi tutti i sondaggi – dovessero vedere la vittoria di misura di una parte o dell’altra, è probabile se non certo che quella sconfitta chieda dei (legittimi) riconteggi, avvii azioni legali e, qualora fosse Trump, cerchi di mobilitare il suo popolo, con il rischio elevatissimo di derive violente. 

I sondaggi, si diceva, sembrano indicare un testa a testa che sarà risolto da alcune migliaia di voti in pochissimi stati decisivi, i famosi “swing states”. In un’elezione che si giocherà quindi sui margini – e sulla capacità di mobilitare il più possibile le rispettive basi riducendo al minimo le defezioni come fu nel 2020 – Harris e Trump hanno fatto delle precise scelte di strategia elettorale. Harris ha offerto poco o nulla ai tanti elettori democratici che chiedevano parole più nette su Gaza e un impegno, in caso di vittoria, a ripensare la relazione speciale con Israele. Ha scommesso sul fatto che un’alternativa ancor più filoisraeliana (e filo-Netanyahu), pronta ad avallare un’azione militare contro l’Iran, induca molti di questi critici ad accettare il male minore. E ha scommesso sulla progressiva marginalità del tema nel dibattito pubblico e politico, come in effetti è stato. Al di là di alcune proposte, forti ma irrealistiche, come il grande piano di costruzioni di unità abitative per far fronte a quella che in alcune parti del paese è una vera e propria emergenza, Harris ha offerto un messaggio moderato e tarato primariamente sull’elettorato femminile. L’obiettivo, chiaro, è di cavalcare una frattura di genere negli orientamenti di voto già marcata nelle ultime tornate elettorali, ma che quest’anno potrebbe raggiungere livelli senza precedenti. Almeno dagli anni Ottanta, le donne votano percentualmente di più: nelle presidenziali del 2020 le elettrici furono circa 7 milioni (3 punti percentuali) in più degli elettori. Con il tema dell’aborto e dei diritti riproduttivi al centro della campagna, e con un avversario che non di rado scivola nel sessismo e nella misoginia, la speranza di Harris è che anche molte elettrici bianche e conservatrici possano decidere di votarla o quantomeno di astenersi.

È un cleavage, quello tra il voto maschile e femminile, che si fa ancor più acuto allo scendere dell’età. E anche su questo Trump sembra avere invece puntato. Per scelta e per natura l’ex Presidente non è riuscito a moderare il suo messaggio e la sua proposta, nemmeno quando questo gli avrebbe fatto gioco, come dopo l’attentato di cui fu vittima in luglio. Retoriche e programmi sono rimasti invece radicali ed estremi, soprattutto sui temi dell’immigrazione e della sicurezza. E, rilevazioni alla mano, sembrano avere raccolto qualche consenso in più tra elettori maschi giovani, inclusi neri e ispanici, con livelli d’istruzione bassi o medio-bassi (privi cioè di un diploma di studio post-secondario). Un segmento elettorale, questo, da tempo in sofferenza in un’economia della “conoscenza” e di servizi avanzati nella quale bassa qualifica e istruzione risultano particolarmente penalizzanti. E che nel caso di neri e latinos può essere maggiormente presente in grandi agglomerati metropolitani, dove i democratici tendono a prevalere largamente. Così come tante donne bianche sono demograficamente sovrarappresentate in contee suburbane e rurali, dove sono i repubblicani invece a dominare. Perché in questa elezione, e nei cruciali “swing states”, conterà anche se non soprattutto la capacità di limitare le sconfitte nelle contee dove si parte ad handicap e in quella che è – assieme a genere e istruzione – la terza cruciale faglia elettorale, quella definita dalla densità abitativa e dalla concentrazione della popolazione.

Il Giornale di Brescia, 4 novembre 2024

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Di Mario Del Pero

Professore di Storia Internazionale e di Storia degli Stati Uniti all'Institut d'études politiques - SciencesPo di Parigi

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