Le nomine di Trump

Prende gradualmente forma, la futura amministrazione di Donald Trump, e non mancano le sorprese e quelle che appaiono delle vere e proprie provocazioni. Ad alcune cariche fondamentali vi sono nomine convenzionali che, in questo clima politico e con un partito repubblicano assai radicalizzato, vi sarebbero potute essere anche con un’altra amministrazione dello stesso colore politico. A guidare la politica estera e di sicurezza arrivano dei falchi che invocano maggior fermezza nei confronti della Cina e sostengono fortemente il governo di Netanyahu come il senatore della Florida, Marco Rubio (nominato Segretario di Stato) e il deputato, sempre della Florida, Mike Waltz (Consigliere per la Sicurezza Nazionale). Per alcuni ruoli diplomatici chiave si scelgono figure simili, anch’esse molto filoisraeliane, come la deputata di New York Elise, Stefanik (ambasciatrice all’Onu) o l’ex Governatore dell’Arkansas, Mike Huckabee (ambasciatore in Israele).

A guidare il dipartimento dell’Interno – tra le cui competenze vi è anche quella di amministrare le risorse naturali e le terre federali – viene scelto il Governatore del Nord Dakota, Doug Burgum; ai Trasporti va l’ex rappresentante del Wisconsin e commentatore della rete televisiva Fox, Sean Duffy; all’Energia si nomina un uomo dell’industria petrolifera e del gas naturale come Chris Wright, amministratore delegato di “Liberty Energy”, uno dei più grandi gruppi della fratturazione idraulica. Figure, queste, apertamente schierate a favore di un’aggressiva politica di deregolamentazione e sostegno dell’industria estrattiva, che in alcuni casi (Wright) non fanno mistero delle loro posizioni negazioniste rispetto al cambiamento climatico.

Vi sono, si diceva, nomine però assai più controverse che non sembrano avere davvero le competenze minime per i ruoli a cui sono stati designati o che portano con sé un pregresso non poco problematico. A dirigere la mastodontica e complessa comunità dei servizi d’intelligence dovrebbe andare l’ex deputata democratica delle Hawaii, Tulsi Gabbard, priva di esperienza alcuna in materia, critica del sostegno all’Ucraina e nota per avere incontrato, senza previa autorizzazione del Dipartimento di Stato, il dittatore Siriano Bashar al-Assad, accusando gli Usa di promuovere il terrorismo in Siria. Per la guida del Dipartimento della Difesa, Trump ha scelto un altro commentatore di Fox, Pete Hegseth. Ex maggiore dell’Esercito, e veterano delle guerre in Afghanista e Iraq, Hegseth ha invocato il licenziamento di tutti quei generali che hanno promosso una politica più inclusiva nelle forze armate, sostenuto che le donne non debbano partecipare a operazioni militari, ed è legato a gruppi e figure del nazionalismo cristiano più radicale (nel 2020 ha pubblicato un libro titolato “Crociata Americana”, in cui denuncia l’assalto del socialismo, del secolarismo e del globalismo alle libertà americane). Per il Dipartimento della Giustizia, il prescelto è un altro giovane deputato della Florida, Matt Gaetz, una delle figure più radicali (e trumpiane) dell’intero Congresso, che nell’ultimo biennio ha spesso attaccato la leadership repubblicana alla Camera, contribuendo alla rimozione del suo Presidente Kevin McCarthy nell’ottobre del 2023. Su Gaetz pende un’indagine della Commissione Etica della stessa Camera, con accuse che vanno dallo sfruttamento della prostituzione minorile al consumo di droga alla corruzione. Infine, alla Sanità dovrebbe andare il figlio di Robert Kennedy, Robert F. Jr., che negli ultimi anni ha abbracciato numerose teorie cospirative ed è diventato uno dei leader del movimento anti-vaccini negli Usa.

Perché queste nomine che hanno attirato le critiche anche di diversi repubblicani? Le spiegazioni possono essere diverse e non necessariamente esclusive. Sono una ricompensa a lealisti che negli anni hanno sempre difeso Trump o si sono schierate dalla sua parte abbandonando il fronte avversario. Potrebbero servire nei negoziati con il Senato, che quelle nomine deve approvare, laddove alcune di esse dovessero essere “sacrificate” per permettere il passaggio di altre (i repubblicani avranno una maggioranza di 53 a 47 e bastano in teoria quattro defezioni per impedire la ratifica). Oppure, ipotesi tutt’altro che peregrina, potrebbero essere una nuova prova di forza di Trump, che sembra non escludere la possibilità di utilizzare la formula del cosiddetto ‘recess appointment’: la nomina presidenziale diretta in un periodo di vacanza congressuale. Un modo per mettere in riga eventuali, residue opposizioni nel suo stesso partito, che ormai è sempre più indistinguibile dal movimento MAGA; e un modo per affermare quel primato indiscusso dell’Esecutivo che in passato Trump ha spesso rivendicato.

Il Giornale di Brescia, 20 novembre 2024

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Di Mario Del Pero

Professore di Storia Internazionale e di Storia degli Stati Uniti all'Institut d'études politiques - SciencesPo di Parigi

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