Ben un’ora e mezzo di telefonata, quella avvenuta ieri tra Donald Trump e Vladimir Putin. “Lunga e produttiva” l’ha definita il Presidente statunitense. Nella quale si sarebbe parlato non solo di Ucraina, quasi a voler rimarcare la volontà di ricostruire una collaborazione ampia tra gli Usa e la Russia, riconoscendo alla seconda un ruolo globale che per tanti aspetti Mosca non ha in realtà più da tempo. E però è il conflitto ucraino a dominare inevitabilmente il dialogo. Trump vuole porvi termine in tempi brevi. Perché distrae risorse da destinare ad altri teatri; perché ritiene sia la Cina e non la Russia il vero rivale di potenza degli Stati Uniti e tutto va fatto per evitare un consolidamento dell’asse tra i due paesi; perché in Ucraina ha intravisto lucrose possibilità per interessi economici statunitensi che sappiamo essergli vicini e avere contribuito a finanziarne la campagna elettorale.
Quasi sempre gli accordi di pace, o le semplici tregue, sono il frutto di baratti e compromessi. Quello che potrebbe realizzarsi sull’Ucraina non fa eccezione. Le concessioni maggiori saranno quasi sicuramente richieste a Kiev. Concessioni soprattutto territoriali, come ha fatto capire anche il neo-Segretario della Difesa Pete Hegseth all’incontro del gruppo di contatto della Nato sull’Ucraina tenutosi ieri a Bruxelles. Un ritorno ai confini ucraini pre-2014 non costituisce un “obiettivo realistico” ha sottolineato Hegseth. Che ha pure escluso la possibile ammissione dell’Ucraina nell’Alleanza Atlantica, con la conseguente estensione a Kiev delle garanzie securitarie Nato. In concreto ciò significa che l’Ucraina dovrà accettare la perdita definitiva della Crimea e di una parte del suo territorio orientale, anche se come sempre in questi casi la definizione dei confini sarà oggetto d’interminabili discussioni. Cosa otterrà allora in cambio? Esclusa la soluzione atlantica, una qualche garanzia dovrà giungere dagli Usa in forma di impegni a garantirne la sovranità e di aiuti militari.
La Russia appare uscire vincitrice dal compromesso che si prospetta. E per certi aspetti lo è, visto la riconosciuta modifica dei confini ucraini che dovrebbe comportare. Se però misuriamo questo potenziale accordo rispetto agli obiettivi e ai piani con cui lanciò tre anni fa la sua invasione, ottiene comunque molto meno di quanto non volesse, su tutti il riportare l’Ucraina dentro la sfera d’influenza russa. Immaginabile che da parte statunitense vi sia l’impegno non solo a togliere le punitive sanzioni imposte a Mosca, ma anche ad avviare un processo di suo rapido reintegro economico funzionale tra le altre cose ad allontanarla dalla Cina.
Se il piano andasse in porto, si tratterebbe di un indubbio successo diplomatico per Donald Trump. Anche perché, ultimo tassello del mosaico, la mediazione statunitense e la garanzia che presumibilmente sarà offerta a Kiev verrà accompagnata da una sostanziosa contropartita che Trump, con la solita ostentata brutalità, non ha peraltro occultato: l’accesso a tante risorse naturali ucraine (litio, titanio, gas naturale e altro) ovvero la loro gestione da parte di compagnie statunitensi vicine al Presidente e attratte dalle profittevoli opportunità che il nuovo contesto sembra prospettare.
Dentro questo schema, che rimanda a logiche di una politica di potenza oggi esibita e rivendicata come non mai da chi guida gli Stati Uniti, non pare esservi posto per l’Europa, quanto meno come attore diplomatico. E l’impressione molto forte è che a essa, Trump assegni al massimo il ruolo di donatore e finanziatore di quella che, a conflitto terminato, sarà l’onerosa ricostruzione dell’Ucraina.
Il Giornale di Brescia, 13 febbraio 2025
