L’hillbilly degli oligarchi

J.D. Vance è per molti aspetti il volto sofisticato e colto del trumpismo. Non necessariamente quello più umano o moderato, anzi. Ma di certo una figura politica capace di esprimere in modo più articolato e meno rozzo alcuni dei precetti fondamentali della nuova Destra statunitense. Agendo al contempo da ponte tra due anime di questa Destra che tendono a entrare in rotta di collisione: quella populista, che ambisce a dare voce ai perdenti della globalizzazione, su tutti le vittime di processi di deindustrializzazione che hanno devastato e impoverito alcuni pezzi d’America; e quella di oligarchie high-tech che invece proprio grazie alla globalizzazione hanno visto crescere a dismisura le loro ricchezze e la lor influenza pubblica e politica. Vance, l’hillbilly cresciuto nella povertà della prima America e capace di parlarvi con grande efficacia è anche l’uomo che dopo gli studi a Yale è riuscito a farsi ammettere nella seconda, arricchendosi e legandosi a uno dei suoi esponenti più influenti e problematici, il miliardario fondatore di PayPal Peter Thiel.

Nel suo intervento alla Conferenza sulla Sicurezza il Vicepresidente degli Usa ha mostrato come intende svolgere questo ruolo: in che modo stia cercando di conciliare la retorica del populismo e gli interessi e obiettivi delle oligarchie trumpiane. Tutti si aspettavano almeno qualche parola sul dossier ucraino, sui piani di pace statunitensi, su quale ruolo Washington assegni ai suoi alleati europei, se mai intende assegnargliene uno. Di una conferenza sulla sicurezza internazionale in fondo si tratta. E invece no, Vance si è concentrato sui presunti mali della democrazia in Europa e su quanto questi stiano avvelenando le relazioni con gli Usa. Un’Europa che starebbe abbandonando i suoi valori fondamentali, ha affermato apoditticamente il Vicepresidente, mettendo il bavaglio alla libertà di espressione, adottando regole che soffocano il legittimo confronto democratico o rafforzano eccessivamente burocrazie che impedirebbero l’espressione della legittima volontà popolare. Volontà, questa, che si ritiene debba conferire a chi la rappresenta poteri assoluti, senza intermediazioni che bilancino la forza dell’Esecutivo o esercitino un’autonoma funzione di controllo. Che è poi un po’ l’essenza dell’assalto lanciato da Trump in queste prime settimane di amministrazione, con i tanti provvedimenti esecutivi finalizzati a estendere i poteri della Presidenza ben oltre il dettato della Costituzione, facendone saltare il delicato sistema di pesi e contrappesi.

Per Vance questa presunta tara democratica dell’Europa costituirebbe una minaccia ben peggiore di quella rappresentata dalla Cina e dalla Russia. Ma per chi? E per cosa? Qui, dall’astratto di una concezione della democrazia assai problematica e invero molto autoritaria, quale quella di Vance e Trump, si passa al concreto dei loro obiettivi in Europa. Che sono quelli di sostenere i partiti della destra estrema, a partire dall’AFD in Germania, e, ancor più, di osteggiare gli sforzi di regolamentazione del big tech statunitense da parte dell’Unione Europea. Il lessico populista e la presunta battaglia per una democrazia senza intermediazioni si salda così con l’azione per tutelare gli interessi di quelle tecno-oligarchie oggi schierate al fianco dell’amministrazione Trump. Si presentano le regole come una censura e qualsiasi tentativo di disciplinare la discussione nella sfera pubblica come un attentato alla libertà. E tra mille corto-circuiti, si prova a rendere conciliabili e non antitetici l’hillbilly del Midwest povero e deindustrializzato con l’oligarca dalla ricchezza sterminata della Silicon Valley.

Il Giornale di Brescia, 15 febbraio 2025

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Di Mario Del Pero

Professore di Storia Internazionale e di Storia degli Stati Uniti all'Institut d'études politiques - SciencesPo di Parigi

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