Vi è il rischio concreto di una implosione della democrazia statunitense? Di una sua deriva autocratica? Oppure essa dispone ancora di sufficienti anticorpi istituzionali, politici e finanche culturali per reggere qualsiasi urto?
Risposte certe non sono date, ma è indubbio che l’elezione di Trump e queste sue prime settimane di governo stanno mettendo sotto fortissimo stress la democrazia americana. Una democrazia vecchia e affaticata, questa. Antiquata e obsoleta nel suo apparato istituzionale e nel suo sistema elettorale; governata sulla base di una costituzione scheletrica e anacronistica. E una democrazia inefficiente e disfunzionale, lacerata da una polarizzazione interna che esaspera il conflitto e rende quasi impossibili le mediazioni e i compromessi necessari a governare. Della crisi di questa democrazia, e dell’imbarbarimento del confronto pubblico e politico, Donald Trump è stato la conseguenza più che la causa, l’esito più che la matrice. Ne è però diventato ben presto agente primario, intento a iniettare continuamente ulteriore tossicità nel suo corpo malato e sofferente.
Dal suo secondo insediamento, si è assistito a un’ulteriore accelerazione di questo suo assalto ai pilastri democratici dello stato di diritto. Tre sono gli strumenti finora utilizzati: l’abuso delle prerogative presidenziali, l’intimidazione e la menzogna. Nel profluvio di ordini esecutivi di queste settimane hanno spesso prevalso obiettivi da altri da quelli strettamente legati al merito dei provvedimenti. Il principale è stato quello di affermare l’ampia estensione delle prerogative presidenziali, alterando quindi gli equilibri dei poteri e ponendo le premesse per la rimozione di qualsiasi contrappeso a quello esecutivo. Pur con un Congresso controllato dal suo stesso partito, e ben contento di assecondare il Presidente su tanti dossier, Trump ha preferito agire unilateralmente. Il messaggio è stato chiaro. Così come chiara è apparsa la volontà di aprire un fronte di scontro con il potere giudiziario, con le Corti pronte a bloccare iniziative patentemente illegali o incostituzionali, quella Suprema – a maggioranza conservatrice – destinata prima o poi a essere chiamata a intervenire, e Trump e Vance che non escludono di non rispettare le ingiunzioni dei tribunali, dando così il là a una vera e propria crisi costituzionale.
In parallelo, si è lanciata un’azione aggressiva di eliminazione o depotenziamento di tante agenzie federali di controllo e organismi indipendenti, a partire dal dipartimento della Giustizia e dall’FBI. Sono stati immediatamente licenziati gran parte degli ispettori generali di numerosi apparati governativi, figure chiave nella funzione di monitoraggio del loro corretto funzionamento. Giustificato in nome della deregolamentazione, questo processo sembra avere la funzione primaria di rimuovere tutti i diaframmi che esistono tra il leader e il suo popolo ovvero di metterli sotto il diretto controllo della Presidenza.
I licenziamenti, realizzati o minacciati, di decine di migliaia di dipendenti federali stanno avendo inoltre una funzione esplicitamente intimidatoria. Servono a creare una burocrazia federale alleggerita, piegata alla volontà politica dell’amministrazione o incapace di svolgere le proprie funzioni. Così come intimidatori sono molti dei provvedimenti realizzati o annunciati, come quello recente dei dipartimenti di Stato e della Homeland Security che si propone di utilizzare l’intelligenza artificiale per controllare centinaia di migliaia di profili social di studenti, procedendo alla loro espulsione dall’università e, per gli stranieri, anche dal paese qualora si trovasse traccia di commenti ritenuti antisemiti o pro-Hamas.
La menzogna sistematica accompagna questo processo. Nel suo discorso al Congresso di qualche giorno fa, Trump ha offerto una litania di bugie da mandare in tilt qualsiasi serio fact-checker: dai presunti beneficiari plurisecolari degli assegni pensionistici alla portata della sua vittoria elettorale di novembre, dai suoi tassi di popolarità all’entità degli aiuti statunitensi all’Ucraina. Bugie, queste, evidenti a tutti, inclusi molti senatori e deputati repubblicani, consapevoli però che esse costituiscono un test di lealtà a cui si devono piegare in un partito ormai pienamente dominato da Trump e dal suo movimento Maga.
Gli Stati Uniti, insomma, si trovano a un bivio cruciale. E l’impressione è che ancor prima delle Corti o dell’opposizione democratica, siano oggi le divisioni interne all’amministrazione e l’incompetenza di molto del personale trumpiano i principali argini alla torsione autoritaria e autocratica in corso nel paese.
Il Giornale di Brescia, 10 marzo 2025
