La parola di Donald Trump vale poco o nulla, come sappiamo bene. E le due settimane di pausa di riflessione prima di decidere se partecipare o meno all’attacco israeliano dell’Iran si sono trasformate in appena due giorni. Dentro quel che si prefigura, il nullo valore delle parole e degli impegni del più importante leader mondiale non è forse il problema principale, ma molto ci dice dell’abisso – politico ed etico – in cui stiamo precipitando. Come l’esperienza recente ben c’insegna, le guerre sono facili da iniziare – soprattutto per una grande potenza – e assai più difficili da portare a termine. E molto alto è il rischio che questo conflitto, nel quale sono ora entrati gli Usa, non faccia eccezione. Sono diverse le variabili che ne determineranno il corso. Alcune delle quali in una certa misura imponderabili, che l’altra regola delle guerre contemporanee è che spesso quel che sembra vero inizialmente non si rivela tale con l’evoluzione del conflitto.
Fatte queste banali premesse, cosa ci dice la decisione di Trump di colpire l’Iran e quali sono le incognite a cui dovremmo prestare attenzione per capire quel che potrebbe seguire? La prima indicazione è che, come su Gaza, sono Netanyahu e la Destra israeliana a dettare tempi e contenuti di azioni che gli Usa subiscono (come fu con Biden), seguono o assecondano. Una capacità di condizionare le decisioni e scelte dell’alleato statunitense, questa d’Israele, che deriva dalla profonda integrazione militare tra i due paesi, ma ancor più dal rapporto ormai osmotico tra le loro Destre più radicali. Ben simboleggiate, dal lato americano, da falchi anti-iraniani come il Segretario di Stato, Rubio e tanti, influenti Senatori o da esponenti di una Destra religiosa, filo-israeliana e non di rado islamofoba come il Segretario della Difesa, Hegseth, o il nuovo Ambasciatore a Gerusalemme, Huckabee.
La seconda indicazione è che si segue Netanyahu perché se ne condividono in ultimo assunti strategici e cultura politica. L’idea, cioè, che disciplina e ordine – locali e globale – debbano essere imposti con la forza e l’estensione della propria influenza. Con una politica di potenza dai tratti ostentamente neo-imperiali, per la quale è oggi il dominio di una Grande Israele in Medio Oriente lo strumento primario di pacificazione regionale.
La terza indicazione, infine, è che norme e principi sono subordinati a questa logica di potenza. Che il diritto internazionale si applica a intermittenza, a seconda degli attori che ne sono soggetti. Con standard duali, cioè, oggi peraltro apertamente rivendicati e pienamente internalizzati da alcuni soggetti (Usa, Israele e Russia su tutti).
Se queste sono le indicazioni, numerose sono le incognite che determineranno il corso degli eventi. L’Iran vorrà e saprà rispondere? Colpirà bersagli statunitensi in Medio Oriente innescando una spirale potenzialmente suicida? In un conflitto così asimmetrico, con un tale squilibrio di forze, cercherà di attivare l’“arma degli straccioni”, un terrorismo a cui potrebbero peraltro contribuire anche uomini e donne non legati a Teheran, mossi come in passato dal risentimento nei confronti di una guerra che rischia di essere rappresentata come un altro attacco all’Islam?
Infine, come si muoveranno Cina e Russia? Entrambe hanno legami economici e diplomatici stretti con l’Iran; entrambe potrebbero applicare le medesime categorie neo-imperiali alle loro aree d’influenza, a partire ovviamente dall’Ucraina. Domande, queste, per le quali cominceremo ad avere alcune risposte nei giorni e nelle settimane a venire. Prestando attenzione anche al fronte interno statunitense, dove un’ escalation del conflitto iraniano potrebbe offrire il pretesto per un giro di vite repressivo e autoritario di cui abbiamo avuto in questi mesi già un assaggio.
Il Giornale di Brescia, 23 giugno 2025
