Sul nuovo summit Trump-Putin

Trump annuncia un prossimo, nuovo summit con Putin, questa volta a Budapest, in quella Ungheria di Orban che il Presidente statunitense considera modello e alleato speciale in Europa (e un deliberato schiaffo all’Unione Europea la scelta di Budapest pare davvero essere). Lo fa contestualmente a una nuova visita di Zelensky a Washington, nella quale il leader ucraino chiede una volta ancora di ottenere tecnologia militare, su tutti quei missili Tomahawk a raggio medio che permetterebbero a Kiev di colpire con ben maggior precisione ed efficacia vari bersagli russi.

Difficile capire se ci troviamo di fronte a una accelerata nei negoziati che dovrebbero portare alla tanto agognata pace in Ucraina o se invece, come più volte in questi nove mesi di presidenza Trump, alle aspettative non corrisponderanno risultati concreti. Se Putin userà questo dialogo per guadagnare tempo e impedire un nuovo, maggior coinvolgimento statunitense nel conflitto come è parso prefigurarsi negli ultimi giorni.

La decisione di convocare un altro summit può essere letta in due modi opposti. La prima possibile lettura è che sia Putin a dettare tempi e forme di questo dialogo. A offrire timide aperture, lusingare Trump e fare poi poco o nulla per agevolare un reale negoziato. Nella convinzione che il tempo sia a suo favore. E che a dispetto dei modesti risultati militari ottenuti negli ultimi mesi, una protratta guerra di logoramento sia comunque vantaggiosa per Mosca, come indicano le crescenti fatiche ucraine nel continuare a reclutare uomini in un paese che già soffriva di un pesante calo demografico prima dell’invasione russa, e che in questi tre anni e mezzo di guerra ha visto emigrare altri milioni di persone, molte delle quali difficilmente torneranno. Un nuovo vertice potrebbe congelare il trasferimento dei Tomahawk, minare la fiducia e la fermezza ucraine e rendere ancora più difficile la resistenza di Kiev all’aggressione russa.

Una seconda lettura possibile ribalta invece questo ragionamento. Forte del successo diplomatico ottenuto in Medio Oriente – con la pace, per quanto precaria, realizzata a Gaza – Trump vorrebbe ora rilanciare una mediazione che solo gli Stati Uniti possono davvero imporre. Paventando la possibilità appunto di un pieno impegno ad aiutare l’Ucraina anche attraverso la fornitura di tecnologia militare finora mai concessa a Kiev per i timori che il suo uso possa scatenare un’escalation incontrollabile. E rimettendo sul tavolo l’idea di espandere il regime sanzionatorio nei confronti della Russia, estendendolo anche a soggetti terzi che con i loro acquisti di energia russa e le loro esportazioni hanno permesso a Mosca di reggere l’urto di molte delle misure finora imposte.

Se queste sono le due ipotesi che possiamo avanzare, maggiori paiono essere le certezze riguardo gli obiettivi dell’amministrazione Trump rispetto al conflitto ucraino e gli strumenti con cui realizzarli. I primi si riassumono nella volontà di riallacciare rapporti più stretti con Mosca per cercare di sottrarla alla sua crescente dipendenza dalla Cina, nella drastica riduzione dell’oneroso impegno a sostegno di Kiev e nei vantaggi economici che ne potrebbero derivare per gli Usa, alcuni specifici gruppi e imprese, e la stessa famiglia Trump (la dimensione personale e patrimonialista della diplomazia trumpiana, come ben vediamo in Medio Oriente, pare costituire una delle cifre davvero distintive della politica estera del Trump II). I mezzi sono le ampie concessioni territoriali a Mosca, gli accordi capestro con l’Ucraina per lo sfruttamento futuro delle sue risorse minerarie, la delega all’Europa di una garanzia di sicurezza per Kiev da perseguirsi anche attraverso l’acquisto europeo di armi statunitensi, l’allentamento delle sanzioni e il conseguente reintegro della Russia e delle sue risorse nei mercati globali. Condizioni di certo non sfavorevoli a Mosca, ma con alcuni nodi irrisolti – su tutti l’effettività della garanzia securitaria all’Ucraina – e che comunque Putin ha finora rigettato, convinto appunto che il tempo giochi a suo favore.

Il Giornale di Brescia, 18 ottobre 2025

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Di Mario Del Pero

Professore di Storia Internazionale e di Storia degli Stati Uniti all'Institut d'études politiques - SciencesPo di Parigi

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