È tempo di chiudere l’Abilitazione Scientifica Nazionale

Me lo disse un collega tanti anni fa, di fronte all’ennesima riforma dei meccanismi concorsuali per il reclutamento dei docenti universitari: “qualsiasi cambiamento venga introdotto, noi siamo sempre più rapidi a trovare il modo per aggirarlo o per imparare a sfruttarlo”.

La storia dell’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN)  conferma la bontà e saggezza del giudizio. Serviva per introdurre filtri seri e severi all’accesso alla professione. Una commissione di cinque professori, che per candidarsi dovevano avere criteri minimi che accertavano le competenze (che li abilitavano ad abilitare), chiamati a valutare candidature che per essere ammissibili dovevano rispondere a criteri minimi (mediane) definite a seconda delle discipline; forte enfasi su internazionalizzazione; definizione di una “fascia A” di riviste importanti e riconosciute, con rigoroso sistema di peer-review, e premio (una mediana) a chi fosse riuscito a pubblicarvi; e altro ancora.

Dopo dieci anni possiamo senza dubbio alcuno dire che il processo è infine collassato. Alcune commissioni hanno lavorato bene e altre (molto) male, ovviamente. Ma è il processo che è diventato al meglio inutile e al peggio (ma non di rado) una farsa.

L’ASN ha prodotto un’inflazione di pubblicazioni sussidiate, ché uno dei criteri (il numero minimo di monografie o “prodotti della ricerca”) è strettamente quantitativo; ha creato mostruose liste di riviste di fascia A – più di 300 nei settori di competenza miei!! – facendo venir meno il senso originario di quella mediana; ha indotto molte riviste italiane a inventare meccanismi tutti cosmetici di peer-review, per ottemperare a quell’obbligo (due volte, riviste italiane mi hanno chiesto un referaggio di pezzi poi pubblicati 2 mesi dopo intonsi, senza alcuna delle revisioni che avevo indicato o delle correzioni che avevo sollecitato; chiunque passi per un serio peer-review internazionale sa invece quanto lunga, tortuosa e faticosa sia la review che porta poi alla pubblicazione). E ha trasformato molti dei criteri abilitanti in semplici caselline da barrare, su tutte quelle relative appunto all’internazionalizzazione, con tutti/e che vanno a caccia di brevi soggiorni all’estero (io ricevo non so quante domande ogni anno) per poter dire (e far dire alla commissione) che sono per l’appunto “internazionalizzati”.

Più di tutto – e questo è forse il dato più preoccupante – ha ulteriormente disaccoppiato l’università italiana da quella del resto del mondo. Che si tratta di criteri appunto tutti italiani: per seguirli – per pubblicare ad esempio la pletora di “prodotti della ricerca” necessari a una mediana – si sottrae tempo prezioso a pubblicazioni complesse e lunghe su prestigiose riviste internazionali (poche, non 300…) richieste invece se si concorre a un posto fuori dall’Italia. Dove si chiedono invece poche pubblicazioni di qualità, un progetto di ricerca, l’esperienza d’insegnamento (totalmente assente nei criteri della nostra ASN). E dove il reclutamento passa per un concorso serio nel quale quasi sempre decisivi sono la lezione e il colloquio, che in molti nostri atenei sono ora scomparsi (magari con nobili intenzioni, per ridurre la discrezionalità delle commissioni concorsuali, col solito cortocircuito si sono però peggiorate le cose).

Conosco giovani – e ho ex dottorandi – che sono stati assunti in università di ricerca importanti e con concorsi davvero selettivi: a Bristol, Oxford, Utrecht, Leiden, Amsterdam, in università statunitensi. E che con i criteri dell’ASN non sarebbero abilitati (in alcuni casi quando vi hanno provato sono stati proprio bocciati).  

Insomma si è creato un mostro che non funziona più e che anzi fa non pochi danni. Acuiti, nel tragicomico clima politico e culturale odierno, dalla gloriosa celebrazione nei giudizi di diversi commissari di un surreale provincialismo/sovranismo storiografico (contro les “anglo-saxons” direbbero qui…) che farebbe solo ridere se non facesse prima piangere e preoccupare.

Di Mario Del Pero

Professore di Storia Internazionale e di Storia degli Stati Uniti all'Institut d'études politiques - SciencesPo di Parigi

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