Macron prospetta la possibilità d’inviare soldati francesi in Ucraina. Dalla NATO si fa deliberatamente sapere che vi sono delle “linee rosse” che, se violate da Mosca, potrebbero trascinare l’Alleanza nel conflitto. Dopo mesi di paralisi, il Congresso statunitense si decide finalmente a stanziare una nuova, massiccia tranche di aiuti militari a Kiev (più di 60 miliardi di dollari). Nel mentre la Russia annuncia l’intenzione di voler rispondere a queste azioni occidentali intraprendendo una serie simulazioni dell’uso di armi nucleari tattiche nei campi di battaglia ucraini.
Come possiamo interpretare e collegare queste decisioni e dichiarazioni? Che cosa ci dicono su un conflitto che ormai dura da più di due anni e dal quale si fatica a intravedere una qualche via d’uscita?
Due letture, all’apparenza antitetiche ma in realtà complementari, possono essere date. La prima, la più spaventevole, è che si stia assistendo davvero a un’escalation. Che si sia cioè innestata la spirale generata dai dilemmi della sicurezza che ogni attore deve fronteggiare in crisi di questo tipo. Dove tutte le parti pensano di agire in risposta alle minacce e all’offensiva dell’avversario, ma nel farlo ne alimentano in realtà i timori e le reazioni conseguenti. Le “linee rosse” della NATO e le dichiarazioni di Macron hanno in teoria una funzione deterrente: costituiscono cioè degli avvertimenti a Mosca, finalizzati a inibirne eventuali ambizioni espansionistiche. Combinate con i nuovi aiuti statunitensi, esse paiono però giustificare e acuire le fobie di Putin, indicendolo a rilanciare l’implicita minaccia di un’escalation nucleare che conseguirebbe a una piena internazionalizzazione del conflitto. La storia su questo ci offre moniti inequivoci e preoccupanti, che tanti conflitti sono nati proprio in conseguenza dell’avvilupparsi di queste spirali della sicurezza. Sulle quali incidono moltissimo i pregiudizi, le paure e gli stereotipi che quasi sempre connotano lo sguardo che un soggetto dà del suo avversario: la NATO che minaccerebbe la sicurezza ultima della Russia, nelle paranoie di quest’ultima; il Putin radicalmente espansionista, che ambirebbe addirittura a rovesciare l’ordine europeo, nella retorica fortemente ideologica che definisce spesso le narrazioni del conflitto negli Usa e i tanti paesi europei.
La seconda lettura è che tutto ciò vada letto come una modalità di comunicazione di attori che, se razionali, comprendono come dal conflitto non vi sia in realtà una via d’uscita – un’ipotesi realistica di vittoria e sconfitta – e che un qualche compromesso andrà in ultimo trovato. I nuovi aiuti statunitensi alzano di nuovo i costi, già immensi, della guerra per Mosca. Le dichiarazioni di Macron servono a comunicare alla Russia che una totale capitolazione ucraina non è contemplabile e tutto sarà fatto per evitarla. Evocare le armi nucleari consente a Putin di ricordare quali siano i potenziali costi collettivi di un ampliamento del conflitto, oltre a permettergli una volta di più di mettere sotto i riflettori il vero, e per certi aspetti unico, strumento di potenza di cui dispone la Russia.
Oscilliamo cioè tra il rischio sempre presente di un’escalation e la consapevolezza che in questa terribile guerra d’attrito tutte le parti in causa dispongono di strumenti con cui imporre ulteriori sofferenze all’avversario: con le quali infliggere pesanti rappresaglie che, si può solo sperare, rappresentano oggi il freno principale alla tentazione sempre presente di cadere nella trappola di una spirale dalla quale sarebbe poi difficilissimo uscire.
Il Giornale di Brescia, 7 maggio 2024
