Gli storici hanno non di rado rivalutato Presidenti che avevano terminato ingloriosamente il loro mandato, sconfitti nel tentativo di essere rieletti o costretti a non ricandidarsi. È il caso, solo in tempi recenti, di Lyndon Johnson, Jimmy Carter o George Bush Sr.. Forse, una sorte simile avranno Joe Biden e la sua amministrazione. Magari una volta che si manifesteranno gli effetti di alcuni importanti successi legislativi, dalla legge sulle infrastrutture a quella – il famoso Inflation Reduction Act dell’agosto 2022 – di sostegno alle re-industrializzazione e alla transizione ecologica.
Per il momento, però, Biden esce mestamente di scena. Termina da sconfitto la sua lunghissima esperienza politica, iniziata più di mezzo secolo fa con l’elezione, non ancora trentenne, al Senato. Lo fa dopo essere stato costretto a farsi da parte da un elettorato e un’opinione pubblica convinti a larga maggioranza che la sua richiesta di essere confermato per quattro anni alla Casa Bianca mancasse in ultimo di credibilità: che fosse troppo anziano, affaticato e poco lucido per essere votato e rimanere in carica. E lo fa assistendo alla nemesi storica di essere sostituito non solo dal rivale che sconfisse chiaramente quattro anni fa, ma dalla figura incarnante quella minaccia alla democrazia statunitense che – ha sempre sostenuto Biden – lo aveva spinto nel 2020 a candidarsi per una terza volta alla Presidenza (le altre due erano state il 1988 e il 2008).
I bilanci, si diceva, non possono che essere parziali e temporanei. Li avessimo stilati un anno e mezzo fa – se Biden avesse compiuto il gesto politicamente necessario di rinunciare a ricandidarsi, aprendo il ciclo delle primarie democratiche – avremmo probabilmente scritto cose molto diverse da quelle di oggi. Biden presiedeva un’amministrazione straordinariamente disciplinata ed efficace, dalla quale non usciva uno spiffero e dove non vi erano dimissioni o tensioni (su questo, la differenza rispetto al caos dei quattro anni di Trump era, e sarebbe rimasta, molto marcata). Riusciva a trasferire questa disciplina alle rappresentanze democratiche alla Camera e al Senato, che a dispetto delle esili maggioranze di cui disponevano e della loro grande eterogeneità riuscivano a far passare legislazione sostanziale e pesante come non si vedeva da decenni. Otteneva, al mid-term del 2022, il miglior risultato del partito di un Presidente eletto due anni prima da mezzo secolo a questa parte. E promoveva un’azione di sostegno militare ed economico all’Ucraina approvato da una larga parte del paese e del mondo politico, che aveva aiutato Kiev a resistere e, si pensava e sperava, gli avrebbe permesso di lanciare una controffensiva vincente.
Le fragilità non mancavano ed erano visibili: da un’inflazione che erodeva il potere d’acquisto e bilanciava i buoni risultati economici alla incapacità di ben gestire i flussi migratori alla frontiera meridionale alla senilità di un Presidente sempre più protetto, che limitava al minimo ormai le interazioni con la stampa. Ma è stato l’ultimo anno e mezzo a cambiare radicalmente il quadro, con Trump che sbaragliava la concorrenza repubblicana e, di fatto, conquistava definitivamente il partito, Netanyahu che umiliava reiteratamente Biden, il conflitto ucraino che non si sviluppava come previsto, e la doppia crisi provocata dall’immigrazione e dall’inflazione a erodere quotidianamente il consenso dell’amministrazione democratica e del suo Presidente.
La vita di Biden è stata segnata da tragedie immani: la morte in un incidente stradale, pochi giorni dopo la sua prima elezione, della prima moglie e della figlioletta di un anno; quella nel 2015 dell’amato figlio Beau, l’erede politico designato, ucciso dal cancro a 46 anni mentre si apprestava a correre per il governatorato del Delaware; i demoni e le vicissitudini infinite dell’altro figlio, Hunter, condannato e a cui Biden ha infine concesso la grazia, con una decisione non poco controversa. È riuscito a rialzarsi più volte Joe Biden, anche da sconfitte pesanti e umiliazioni politiche non piccole. Ma domani sulla sua interminabile parabola politica cala definitivamente il sipario.
Il Giornale di Brescia, 19 gennaio 2025

totalmente d’accordo sul mesto addio di Biden, umiliato, anche, dalla plastica dimostrazione del decisionismo trumpiano riguardo alla tregua in Medio Oriente. Anche se, certamente, nessuno sa cosa abbia promesso, il nuovo presidente, a Netanyahu
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