Con il viaggio dei Segretari di Stato e della Difesa, Blinken e Austin, a Kiev e il successivo summit alla base tedesca di Ramstein gli Usa alzano ulteriormente la soglia – materiale e retorica – del loro sostegno militare e diplomatico all’Ucraina. È ormai una “guerra per procura”, quella che si sta combattendo, affermano molti tra i commentatori che criticano l’escalation e i rischi che essa comporta. Una definizione corretta, ma che è al meglio parziale e al peggio mistificatoria. Gli ucraini – come la loro propaganda non manca mai di sottolineare – stanno in effetti combattendo anche per altri: per un’Europa che rischia di essere pesantemente destabilizzata e indebolita da un successo russo; per un’America che vuole contenere l’aggressivo revisionismo putiniano, ma non può rischiare un conflitto diretto; per la legittimità di un ordine internazionale di suo contestata e fragile. Il corto-circuito della tesi della “guerra per procura” deriva però dal suo invertire l’ordine di causalità di questa guerra. È stata infatti l’inattesa capacità di resistenza ucraina che ha permesso sia il ricompattamento del fronte atlantico sia il suo crescente appoggio a Kiev. Senza questa resistenza non vi sarebbe stata la possibilità di alcuna guerra e nessuna conseguente “procura”.
A Washington pare oggi prevalere l’ottimismo. L’Ucraina può “vincere” la guerra, afferma Austin. “Vincerla” e non semplicemente resistere, dando tempo alla diplomazia di trovare una qualche soluzione. Una vittoria che si concreterebbe nel rovesciare l’offensiva russa nel sud e nell’est e nel creare un contesto in cui negoziare da una posizione di chiara forza. E una vittoria che per gli Usa avrebbe molteplici riverberi positivi, validando la retorica democratica e atlantista dell’amministrazione Biden, rafforzando la credibilità della politica di contenimento dei revisionismi autoritari di Russia e, potenzialmente, Cina ed evidenziando la superiorità tecnologica e strategica di Washington.
Le contropartite e rischi sono però plurimi. Al di là dell’ottimismo, all’orizzonte non sembrano ancora profilarsi punti di rottura e da più parti si dà ormai per scontato l’ulteriore prolungarsi e incancrenirsi di questo terribile conflitto. Gli Usa scommettono non solo su una vittoria ucraina, ma anche sulla tenuta di un fronte euro-statunitense dove le crepe rimangono ancora contenute, ma che rischiano sempre di ampliarsi e far riesplodere le divisioni temporaneamente silenziate dalla guerra. Il protrarsi del conflitto e il contestuale ampliamento di sanzioni sempre più punitive nei confronti della Russia concorrono a loro volta a frammentare l’ordine economico globale, con conseguenze che imprese e consumatori europei (e di certo italiani) stanno solo gradualmente imparando a conoscere. Più di tutto, gli Usa sembrano scommettere sulla disponibilità ultima del Cremlino ad accettare di subire una vittoria ucraina. Scommessa ardita, questa, immaginabile attraverso una defezione significativa di membri del gruppo di potere putiniano che appare ancora lontana dal realizzarsi o con una completa ritirata russa. Ritirata a cui conseguirebbero un isolamento di Mosca, la prosecuzione e cronicizzazione del regime sanzionatorio e uno stato permanente di tensione e conflitto latente. Difficile immaginare che la Russia e Putin possano accettarlo. E persiste quindi il rischio che, se messi in un angolo, decidano di rilanciare, ampliando il conflitto. Non serve addentrarsi nei nidi del cuculo di un conflitto nucleare – peraltro apertamente discusso come mai nella storia recente – per comprendere quali siano i rischi che ne potrebbero conseguire.
Il Giornale di Brescia, 28 aprile 2022