Decine se non centinaia di migliaia di vittime, militari e civili; immagini di distruzione come non si vedevano in Europa dalla Seconda guerra mondiale; un’escalation che non si è mai praticamente interrotta e che quasi certamente continuerà nei mesi e nelle settimane a venire. Questo ci consegna il primo anniversario della guerra in Ucraina scatenata un anno fa dall’aggressione russa. Quali lezioni possiamo trarre da questo tragico conflitto e cosa ci dicono di un sistema internazionale per il quale il 24 febbraio 2022 ha costituito uno spartiacque cruciale? Possiamo provare a indicarne quattro.
La prima è che la storia segue spesso traiettorie impreviste, nelle quali l’errore umano è fattore ancora decisivo. Fino a poche ore prima dell’attacco russo, numerosi studiosi ed esperti – dalle credenziali impeccabili – continuavano a sostenere che esso non vi sarebbe stato. Quasi tutti, al contempo, davano per scontata una rapida capitolazione dell’Ucraina in caso di guerra. Errori di analisi e di previsione, questi, che riflettono quello macroscopico di chi, Vladimir Putin, la guerra l’ha voluta e decisa. Avvolto nelle nebbie di un nazionalismo che quasi sempre confonde e inganna, il Presidente russo ha completamente sottovalutato la resistenza e la compattezza antirussa dell’Ucraina, la ferma risposta degli Usa e dei loro alleati e la coesione e tenuta del Alleanza Atlantica. Siamo usi credere che la politica, e quella internazionale in particolare, sia un ambito dove le scelte avvengono sulla base di freddi e razionali calcoli di potenza finalizzati alla promozione di un perenne interesse nazionale. La storia ci indica che non è così e la guerra in Ucraina ce ne dà, qualora ve ne fosse stata la necessità, una plastica conferma.
La seconda lezione è che stiamo vivendo una fase di frammentazione di un ordine internazionale che almeno fino alla crisi economica del 2007-9 era stato invece contraddistinto da intensi processi d’integrazione globale. Questa guerra ne è in parte una conseguenza e al contempo contribuisce ad acuire e accelerare tale frammentazione. I capitali degli oligarchi russi ne sono in una certa misura simbolo e incarnazione. Sono stati spregiudicatamente corteggiati da grandi piazze finanziarie globali, come nella politica dei “visti dorati” offerti dal Regno Unito a tanti oligarchi affinché vi trasferissero le loro ricchezze, per essere poi pesantemente sanzionati e obbligati a cercare altri lidi sicuri fuori dal tradizionale spazio euro-statunitense. È un mondo che si frammenta e, in parte, deglobalizza per quanto forte e radicata sia l’infrastruttura costruita in mezzo secolo d’integrazione mondiale, come ben ci mostrano i dati sul commercio mondiale. Ed è un mondo che pare ricostituirsi attorno a un nuovo sistema di blocchi segnato più di tutto dalla competizione e dall’antagonismo tra Stati Uniti e Cina.
La terza lezione riguarda la potenza statunitense. Della quale, come in passato, troppo affrettatamente è stato decretato l’ineluttabile declino. Gli Usa hanno guidato la risposta euro-statunitense, imposto disciplina ad alcuni alleati riottosi, stanziato aiuti economici e militari nell’ordine delle decine di miliardi di dollari, trasferito all’Ucraina la loro impareggiabile (e superiore) tecnologia militare, definito e promosso con successo una narrazione del conflitto tutta centrata sulla potente contrapposizione tra democrazia e autoritarismo, libertà e oppressione. Nello spazio atlantico, insomma, la guerra ha mostrato quanto egemoni e superiori siano ancora gli Stati Uniti.
E però – quarta e ultima lezione – nel mondo d’oggi gli Usa e i loro alleati europei contano e condizionano molto meno rispetto a un tempo, come ben evidenzia la linea assunta sul conflitto sia dalla Cina sia da varie potenze mediane non europee, dall’India all’Arabia Saudita, dal Sudafrica a tanta parte dell’America Latina. Incidono rapporti di forza che sono cambiati radicalmente negli anni. Pesa il convincimento di tanta parte del mondo di subire una volta ancora le conseguenze di un conflitto considerato come esclusivamente europeo. E agisce una comprensibile diffidenza generata dagli standard, doppi e non di rado ipocriti, che gli Usa adottano quando invocano sull’Ucraina quel primato del diritto internazionale e quel rispetto della sovranità di cui Washington ha spesso fatto strame negli ultimi decenni.
Il Giornale di Brescia, 24.2.2023