È stata una tre giorni indubbiamente intensa quella di Joe Biden in Ucraina e Polonia. Ricca di momenti forti e irrituali – su tutti l’abbraccio con il presidente Zelenskij – e di retorica potente e talora sovraccarica, in particolare nel discorso al castello reale di Varsavia. Com’è inevitabile che sia, il presidente statunitense parlava a pubblici diversi; e diversi erano gli obiettivi che si poneva con questo viaggio. Obiettivi – questi – legati alla guerra in corso, al contesto globale, alla leadership statunitense, e alle dinamiche politico-elettorali degli USA.
La guerra, innanzitutto. Di fronte all’annunciata nuova offensiva russa, Biden ha voluto ribadire il pieno sostegno statunitense a Kiev per rassicurarla, sì, ma ancor più per galvanizzarne una capacità di resistenza che ha costituito davvero una delle variabili cruciali in questo primo anno di guerra. Non sappiamo nel dettaglio quando Biden ha deciso questo inatteso blitz ucraino, ma è immaginabile che tra le ragioni che lo hanno ispirato vi sia stata anche quella di contenere gli effetti delle crepe che si sono manifestate sia all’interno dell’Alleanza atlantica sia negli stessi Stati Uniti. Crepe che Mosca auspica possano allargarsi e sulle quali Putin aveva probabilmente scommesso un anno fa. Rassicurare gli ucraini vuole anche dire riaffermare con forza la leadership statunitense e la sua capacità di tenere unito il fronte euro-americano. Cosa che ha Biden ha fatto, sottolineando (a Kiev) che gli USA sosterranno l’Ucraina per “tutto il tempo che ci vorrà” («as long as it takes») e ribadendo (a Varsavia) la validità di un articolo 5 del Patto atlantico, rappresentato peraltro in maniera molto più meccanica di quanto non sia in realtà: come un “giuramento sacro” («a sacred oath»), ha detto il presidente, “a difendere ogni centimetro del territorio della NATO”.
Forte dei risultati ottenuti dall’alleato ucraino – e dalla dimostrazione della impareggiabile superiorità tecnologica dell’hard power militare statunitense – Biden ha poi rilanciato una narrazione della guerra, e dell’ordine globale, tutta centrata sulla contrapposizione tra la libertà e l’oppressione, la democrazia e l’autoritarismo, il rispetto del diritto internazionale e la sua violazione. Soprattutto il discorso di Varsavia ha visto riecheggiare toni binari non dissimili da quelli della guerra fredda, che Biden ha esplicitamente evocato sapendo di toccare un tasto assai sensibile per il Paese ospite (“Per decenni sotto il pugno di ferro del regime comunista, la Polonia ha resistito perché siete rimasti uniti” ha affermato il presidente nel rimarcare l’importanza dell’unità e solidarietà tra le democrazie europee e nordamericane). Si tratta di una narrazione potente e mobilitante, ancorché molto problematica per i doppi standard che tende inevitabilmente a generare, per le reiterate violazioni recenti del diritto internazionale e di guerra da parte degli USA, e per la loro piena internalizzazione dell’idea che gli Stati Uniti dal rispetto della legalità internazionale siano sostanzialmente esentati.
È una narrazione che entusiasma chi si trova sul fronte di guerra, Polonia e Paesi baltici su tutti. E che nelle intenzioni deve aiutare a preservare il sostegno delle opinioni pubbliche statunitense ed europee alla linea finora seguita. Ma che viene osservata con inevitabile scetticismo fuori dal perimetro transatlantico, primariamente per i doppi standard di cui sopra e la sua conseguente flebile credibilità. Il vittimismo nazionalista di Putin si è nutrito di queste contraddizioni e il discorso che il presidente russo ha tenuto martedì all’Assemblea federale era pregno di riferimenti all’ipocrisia dell’Occidente. Ma ora anche la Cina si affida a una retorica simile, come abbiamo visto ad esempio alla recente Conferenza sulla sicurezza di Monaco. E la Cina – con i suoi aleatori piani di pace per l’Ucraina – è certo stata l’interlocutore indiretto di Biden durante il viaggio in Ucraina e Polonia. Sappiamo che riattivare la credibilità del deterrente militare statunitense è funzionale alla nuova politica del contenimento della Cina da parte di Washington: a prevenire possibili revisionismi cinesi, a partire da Taiwan. Ribadire con forza l’impegno statunitense a difendere Kiev, anche nei tempi lunghi di una protratta guerra d’attrito, serve però anche a invitare Pechino a non alzare la soglia del suo sostegno a Mosca o ad avanzare proposte di pace irrealistiche ed eccessivamente sbilanciate a favore dei russi. La pace – è parso voler dire Biden – passa per una campagna militare che non è ancora finita e i suoi termini ultimi saranno determinati dal risultato di questo conflitto.
È davvero così? E soprattutto, gli USA e chi li guida sono in grado di sostenere i tempi di una guerra protratta? Per rispondere bisogna volgere lo sguardo all’altro fondamentale obiettivo del viaggio di Biden: il fronte politico interno. Qui, sondaggi alla mano, quel sostegno ampio e politicamente trasversale alla linea dell’amministrazione sembra oggi iniziare a incrinarsi e farsi sempre meno bipartisan. Vi sono le voci radicali (ma politicamente significative) di chi, come la rappresentante della Georgia Marjorie Taylor Greene, sull’Ucraina chiede addirittura l’impeachment di Biden. Vi sono i distinguo di una leadership repubblicana che da qualche mese dichiara di non essere più disposta a concedere un “assegno in bianco” a Biden sulla guerra. Vi è chi, come Trump o come il popolare governatore della Florida (e possibile candidato presidenziale) Ron DeSantis contesta le stesse premesse strategiche del sostegno a Kiev. Più o meno in concomitanza con la visita a Kiev, DeSantis ha usato Fox News per denunciare un Biden “molto preoccupato per i confini di mezzo mondo” ma che non avrebbe fatto “nulla per mettere in sicurezza” quello con il Messico. “Abbiamo avuto milioni e milioni di persone che sono entrate, decine di migliaia di americani morti a causa del fentanyl e poi, naturalmente, abbiamo appena subito l’umiliazione nazionale di avere la Cina che ha fatto volare un pallone spia attraverso gli Stati Uniti continentali… non è nel nostro interesse essere coinvolti su questioni di terre di frontiera o sulla Crimea” ha affermato DeSantis. Che sa bene quanto impopolari possano rapidamente divenire onerose politiche interventiste (sia pure indirette) come quella sull’Ucraina; e come si possa cavalcare elettoralmente la retorica sempreverde dell’America dimenticata e negletta da un ceto politico isolato nella bolla washingtoniana e facilmente manipolabile dal resto del mondo. Biden ha usato il viaggio anche per preparare l’annuncio della sua ricandidatura: per offrire una dimostrazione, di certo notevole, di energia e vitalità. Ma con questa opposizione, che oggi controlla la Camera dei rappresentanti sarà chiamato a fare i conti nelle settimane e nei mesi a venire.
Pubblicato su “Atlante Treccani” il 23.2.2023 (https://www.treccani.it/magazine/atlante/geopolitica/Gli_obiettivi_Biden_Polonia_Ucraina.html)