Il viaggio di Biden a Kiev

La rapida visita di Biden a Kiev è giunta inattesa. Il Presidente statunitense era uno dei pochi leader occidentali che non si era ancora recato in Ucraina e per questo aveva anche ricevuto delle critiche dai suoi avversari politici. Cosa ci dice questo viaggio e quali ragioni possono averlo ispirato?

Per rispondere si deve guardare tanto al contesto internazionale quanto a quello interno statunitense. Incontrando Zelensky, camminando assieme al Presidente ucraino per le strade di Kiev sotto il suono delle sirene che annunciavano possibili raid russi e riaffermando una volta di più la decisione di sostenere militarmente ed economicamente l’Ucraina, Biden ha cercato di dare un messaggio ai diversi attori impegnati direttamente e indirettamente nel conflitto. Alla Russia ha comunicato che gli Usa non intendono derogare dalla linea adottata un anno fa e che sono pronti a sostenere i costi economici di una protratta guerra di attrito e di logoramento. All’Ucraina, che si prepara a una nuova offensiva russa, ha cercato di offrire un’iniezione di fiducia con cui galvanizzare la straordinaria capacità di resistenza mostrata finora. Agli alleati europei – soprattutto quelli più riluttanti ad accettare un ulteriore aumento degli aiuti militari a Kiev – ha detto che il momento del negoziato è ancora lontano e gli Usa sosterranno l’Ucraina “per tutto il tempo necessario”. Infine, e soprattutto, il messaggio è stato diretto al vero avversario degli Stati Uniti oggi, quella Cina il cui principale diplomatico, Wang Yi, è a Mosca in questi giorni. Washington teme che Pechino possa decidere di abbandonare gli equilibrismi e la cautela che ne hanno finora contraddistinto l’azione e fornire aiuti militari alla Russia. Una decisione, questa, che alzerebbe ancora di più le tensioni tra Cina e Stati Uniti, già ai ferri corti su molti altri dossier.

Se volgiamo lo sguardo al quadro interno statunitense troviamo le altre spiegazioni del viaggio di Biden. Una maggioranza di americani continua ad appoggiare la sua politica sull’Ucraina, ma l’ampio sostegno dei primi mesi di guerra è andato progressivamente affievolendosi. Sondaggi recenti indicherebbero una significativa contrazione della percentuale di chi è favorevole al trasferimento di armi più sofisticate a Kiev. Soprattutto, la dimensione bipartisan e trasversale di questo sostegno sembra venire progressivamente meno, con un numero sempre più ampio di repubblicani contrari a continuare l’onerosa politica di aiuti dell’ultimo anno. E con alcune figure radicali, come la deputata della Georgia Marjorie Taylor Greene, che chiedono addirittura di mettere sotto impeachment Biden per le sue decisioni rispetto al conflitto ucraino. Eccessi e boutades a parte, i repubblicani ritengono di avere trovato un tema potenzialmente vincente con un’opinione pubblica ormai molto restia a sostenere una onerosa politica estera e catturabile quindi dagli slogan che invitano a concentrarsi sui problemi interni invece che a elargire aiuti all’estero. Accanto a questo vi è infine il dato elettorale. Biden, lo sappiamo, sembra essere intenzionato a ricandidarsi nonostante le perplessità di molti elettori e leader democratici, legate primariamente all’età del Presidente. Il viaggio è servito anche a questo: a cercare di trasmettere un’immagine di vigore ed energia quasi marziali; a dimostrare che Biden è in grado di reggere fatiche simili e di poter esercitare la leadership globale degli Usa. Se lo sia davvero e se gli Usa questa leadership la continuino a incarnare credibilmente sono però due dei grandi interrogativi che questa terribile guerra ci consegna.

Il Giornale di Brescia, 21 febbraio 2023

Di Mario Del Pero

Professore di Storia Internazionale e di Storia degli Stati Uniti all'Institut d'études politiques - SciencesPo di Parigi

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