DELL’ “IMBECILLITÀ TOTALE” DI BARACK OBAMA

Qualche anno fa ho scritto un libro sulle due amministrazioni Obama (https://www.feltrinellieditore.it/opera/opera/era-obama/) . Il libro di uno storico che cerca di esaminare la complessità, e i tanti limiti e contraddizioni, della sua azione di governo e delle sue principali politiche pubbliche. Che gli obamisti di casa – moglie e mentore – hanno ritenuto fin troppo ingeneroso verso l’ex Presidente. Sulla sua politica estera ci sarebbe molto da ridire, ovviamente, a partire dall’escalation nell’uso dei droni (sulla quale ci ha lasciato uno dei suoi peggiori discorsi, quello del maggio 2013 alla National Defense University: https://obamawhitehouse.archives.gov/the-press-office/2013/05/23/remarks-president-national-defense-university ). E ancor più sulla sua politica interna, soprattutto dopo lo scacco che i repubblicani riuscirono a infliggergli nella discussione dell’estate 2011 sull’aumento del tetto del debito (all’epoca il buon Bill suggerì senza successo di alzarlo d’imperio, senza autorizzazione congressuale, attraverso un’intrepretazione estensiva, e non poco bucaniera, del XIV emendamento costituzionale, sostenuto peraltro da fior di studiosi a partire da Wilentz: https://www.nytimes.com/2013/10/08/opinion/obamas-options.html ; il costituzionalista Obama, sempre alla ricerca di una chimerica mediazione bipartisan, scelse altrimenti e mal gliene colse).

L’Obama post-presidenziale – tutto invaghito del jet set, Hollywood, Netflix e i Podcast con Bruce – non mi pare poi averne imbroccata una in termini di comunicazione, dal kitsurfing con Branson nel mezzo del casino successivo all’elezione di Trump al demenziale party per i suoi 60 anni a Martha’s Vineyard (mi è pure tornata simpatica la Dowd, con la sua pungente presa in giro di Barack-Antoinette: https://www.nytimes.com/2021/08/14/opinion/barack-obama-birthday.html )

Attribuire però a Obama il disastro afghano, l’ISIS o pensare che sia stato lui – per cinismo, inettitudine o irresponsabilità – a scatenare le primavere arabe vuol dire davvero avere una visione grossolana e manichea di come funzionano la politica internazionale, quella estera statunitense e quella degli Usa. Un approccio forse curabile solo con un lungo periodo d’intenso studio delle fonti d’archivio, l’antidoto migliore a certe letture binarie e deterministiche, che sopravvalutano grandemente l’agency di un attore (o che rubricano sotto una singola etichetta, le “primavere arabe” appunto, processi complessi, articolati, diversi, esagerandone grandemente il semplice driver politico). Bizzarro poi come le critiche oscillino spesso tra l’aver fatto troppo o, ad esempio la Siria, il non aver fatto abbastanza, tirando il ballo l’immancabile feticcio della credibilità perduta. L’amico Giovanni Scirocco – che bene, a volte, credo non me ne voglia proprio… – mi gira oggi una delirante intervista dell’ex ministro degli Esteri Antonio Martino, sulla “Stampa” in cui si fa propria questa lettura. Martino chiosa dando a Obama dell’“imbecille totale”. Un ex Ministro degli Esteri italiano a un ex Presidente statunitense! E ti chiedi, o almeno io d’istinto mi chiedo, se si sarebbe mai permesso di farlo con un Presidente meno “abbronzato”, per citare un altro nostro ex grande leader

Di Mario Del Pero

Professore di Storia Internazionale e di Storia degli Stati Uniti all'Institut d'études politiques - SciencesPo di Parigi

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