La Cina e la difficoltà di “fare egemonia” (a proposito del caso della mostra di Badiucao a Brescia)

La nota, per molti aspetti sconcertante, con cui l’ambasciata cinese chiede al comune di Brescia di cancellare la mostra dell’artista dissidente Badiucao induce una riflessione sulle relazioni internazionali, la diplomazia culturale e la natura della politica estera cinese oggi.

L’esercizio dell’egemonia – la capacità cioè di una potenza superiore di piegare alla propria volontà e ai propri interessi gli altri attori del sistema internazionale – è complesso e difficile. Usare le leve ortodosse del potere, come quelle economiche e militari, può non bastare e anzi può, quando queste leve sono dispiegate rozzamente, generare resistenze e ostilità. Il soggetto davvero egemonico è quello capace di conciliare coercizione e convincimento, forza e persuasione. Una leadership reale ed efficace non può che essere mediata e consensuale, anche a costo di accettare compromessi e di fare rilevanti concessioni agli interlocutori più deboli e dipendenti.

È questa una indicazione che la storia recente delle relazioni internazionali ci mostra bene. Nel dopo seconda Guerra Mondiale, la potenza statunitense è stata multidimensionale; l’egemonia degli Stati Uniti tanto più effettiva in quanto spesso negoziata e concordata. Un consenso, questo, costruito attraverso strumenti tradizionali: gli aiuti economici, con tutte le condizionalità che ne derivano; la protezione militare; la diplomazia e il sistema di alleanze. E però consolidato anche da quello che è stato l’impareggiabile soft power statunitense: quel potere “morbido” o “dolce”, nelle brutte traduzioni italiane in uso, fondato sulla forza del mito e del modello statunitense, sulla capacità di veicolare la potenza americana attraverso canali altri, e spesso immateriali, rispetto a quelli tangibili delle armi o dei dollari. Centrale rispetto a quest’ultimo strumento dell’egemonia è la diplomazia culturale, nelle sue diverse dimensioni e manifestazioni, dagli scambi scolastici alle mostre, dal cinema ai festival allo sport. Centrale e, anche, complicata e potenzialmente a doppio taglio, che azioni palesi di promozione di una diplomazia culturale finalizzata al raggiungimento di precisi obiettivi politici si possono ritorcere contro chi le intraprende in maniera troppo esplicita e palese, e il confine tra questo tipo di diplomazia e la propaganda vera e propria è sempre molto sottile. Fu questo, ad esempio, il caso di una serie d’iniziative sostenute dalla Cia negli anni ‘50 e ‘60 a sostegno di programmi culturali in Europa, attraverso il finanziamento di convegni, premi letterari, mostre, riviste e pubblicazioni. Iniziative spesso di altissima qualità, queste, nelle quali si cercava di coinvolgere intellettuali della sinistra non comunista, non di rado critici verso gli stessi Stati Uniti, ma che una volta scoperte ed esposte screditarono chi vi partecipò e la filosofia che vi sottostava.

Fare egemonia, si diceva, è assai difficile. Vuol dire saper uscire da schemi rozzi e binari di una certa politica di potenza: esporsi, se necessario accettando le critiche. Una delle iniziative di maggior successo della diplomazia culturale statunitense è ad esempio il programma Fulbright, che ogni anno manda nelle università statunitensi migliaia di studenti e studiosi di tutto il mondo: a studiare e fare ricerca con docenti e colleghi non di rado severamente critici verso gli Stati Uniti, la loro democrazia o il loro modello economico (chi scrive, ha beneficiato in passato di due borse Fulbright, la seconda – nel 2001 – in un dipartimento dove numerose furono allora le denunce della politica estera di George Bush Jr.).

Ecco perché la pressione dell’ambasciata cinese sul comune di Brescia è indicativa di una debolezza ben più che di una forza. Di un deficit di egemonia, in altre parole. Ovvero della persistente incapacità di Pechino di mettere in asse il suo indubbio potere economico e militare con un soft power in larga misura assente. Generando peraltro reazioni ostili in molti paesi che con la Cina intratterrebbero ottimi rapporti economici e diplomatici, e che iniziative simili finiscono inevitabilmente per alienare e allontanare.  

Il Giornale di Brescia, 25 ottobre 2021

Di Mario Del Pero

Professore di Storia Internazionale e di Storia degli Stati Uniti all'Institut d'études politiques - SciencesPo di Parigi

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