Il Trattato del Quirinale

Fa sorridere che come antecedente storico di questo “trattato del Quirinale” tra Francia e Italia si citi spesso quello dell’“Eliseo” del 1963 tra Germania e Francia. Un accordo, quello franco-tedesco, che prevedeva anch’esso forme intense di collaborazione e integrazione Ma che vide le sue ambizioni di maggiore autonomia strategica – condivise dal Presidente De Gaulle e dal Cancelliere Adenauer – infrangersi immediatamente sugli scogli di una fedeltà atlantica e filo-statunitense che il parlamento della Repubblica Federale Tedesca riaffermò, introducendo un apposito preambolo che emendava il trattato e lo svuotava almeno in parte del suo significato originario.

Insomma, l’Eliseo di allora offre un monito al Quirinale di oggi. I trattati sono importanti, ma vanno riempiti di contenuti. E la cooperazione può essere definita attraverso precisi meccanismi istituzionali, come questo trattato prova a fare, ma dipende poi da precise condizioni politiche che in due paesi democratici come i nostri sono dettate da contingenze e umori elettorali spesso volatili e imprevedibili. In fondo solo poco tempo fa, mentre la diplomazia dei due paesi tesseva faticosamente la tela che avrebbe portato a questo accordo, a Roma vi era un governo che flirtava esplicitamente con forze anti-europeiste francesi e nel quale un membro importante, come l’allora Vice-Presidente del Consiglio (e attuale Ministro degli Esteri), Luigi Di Maio, non esitava a provocare una crisi diplomatica recandosi a Parigi per incontrare figure fra le più radicali (e, anche, violente) del movimento dei gilet gialli.

Fatte queste doverose premesse, proviamo a valutarlo questo accordo italo-francese, nei contenuti delle sue tredici fitte pagine e nella sua evidente, e finanche ostentata, valenza simbolica e politica. Il trattato riafferma l’impegno europeista e multilateralista, e istituisce, dettagliandoli con precisione, una sere di “meccanismi stabili di consultazione rafforzata” sulle questioni relative alla politica di difesa, agli affari europei, alle politiche migratorie, alla stessa sfera della cooperazione economica e industriale. La volontà di collaborazione e d’integrazione è sostanziata da alcuni impegni precisi e non banali, dai vertici intergovernativi con cadenza annuale alla partecipazione del membro del governo di un paese, “almeno una volta per trimestre e in alternanza”, al Consiglio dei Ministri dell’altro all’istituzione di un Comitato Strategico Paritetico incaricato dell’attuazione del Trattato.

L’accordo è insomma ambizioso e, almeno sulla carta, tutt’altro che cosmetico. I mesi e gli anni a venire ci diranno che se questa ambizione sia realistica e realizzabile. Quel che possiamo già sottolineare oggi è il contenuto politico di questo accordo. Che serve a rafforzare il ritorno, nei due paesi, di uno spirito europeista a cui ha contributo anche la pandemia e l’impegno tutt’altro che scontato dell’Unione Europea nel darvi una risposta forte e comune. Ma che ambisce anche a mettere l’Italia e la Francia al centro di un rilancio dell’Europa che per essere effettivo abbisogna di progressi veri e sostanzali, non legati solo alle contingenze dell’emergenza sanitaria, su tutta una serie di dossier, a partire ovviamente da quelli securitari. L’asse italo-francese è propedeutica a tale rilancio, in particolare in una fase nella quale la transizione tedesca, e alcune difficoltà di Berlino, sembrano far mancare la spinta fondamentale all’integrazione europea. E però senza la Germania è difficile immaginare qualsiasi progresso effettivo. La cooperazione tra Italia e Francia è fondamentale sì, ma non può pensare di essere suppletiva. E rischia di essere addirittura controproducente se, come talora sembra in Francia, viene vissuta in termini antagonistici  rispetto alla Germania o come strumento per accrescere ruolo e influenza francesi dentro la UE. Ambizioni e velleitarismi, quelli francesi, ai quali l’Italia non ha chiaramente nessun interesse a prestarsi.

Il Giornale di Brescia, 27 novembre 2021

Di Mario Del Pero

Professore di Storia Internazionale e di Storia degli Stati Uniti all'Institut d'études politiques - SciencesPo di Parigi

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