Gli Usa e la crisi ucraina

Nelle grandi crisi politiche internazionali convergono una pluralità di agenti che solo col tempo, e con la piena disponibilità di fonti documentarie inaccessibili nel corso delle crisi, si può provare a definire ed esaminare. Si deve quindi diffidare di quelle analisi che pretendono di spiegare tutto, perfino di entrare nella testa dei decisori ultimi, almeno di non volersi affidare agli schemi grossolani e intellettualmente inconsistenti – ancorché mediaticamente di gran successo – di un determinismo geopolitico per il quale le discontinuità e l’intrinseca opacità dei processi storici semplicemente non esistono.

L’interesse nazionale non è statico né determinato da immutabili tratti geografici o culturali. Muta al mutare delle condizioni entro le quali deve essere definito. Viene declinato politicamente e ideologicamente. È esposto – in questa sua definizione – all’influenza di fattori non necessariamente razionali o logici.

Si tratta di banalità note a chiunque abbia un minimo di conoscenza della storia della politica internazionale. E ancor più a chi si occupa degli Stati Uniti, dove questi molteplici variabili e fattori sono stati oggetto di una letteratura sterminata, anche perché s’intrecciano con un pluralismo istituzionale in virtù del quale gli attori che concorrono a definire la politica estera del paese sono a loro volta molteplici e talora in esplicita concorrenza gli uni con gli altri.

La lunga premessa è indispensabile per cercare di comprendere le matrici della risposta dell’amministrazione Biden alla crisi scatenatasi sull’Ucraina. E per sottrarsi alle tenaglie – di nuovo molto mediatiche e assai poco scientifiche – di chi (i più) la presenta come un fallimento totale o (i meno) la descrive come strategicamente acuta e incisiva.

Matrici che per convenienza analitica potremmo raggruppare in tre grandi categorie, tra loro strettamente intrecciate e sovrapposte: strategiche, politiche e ideologiche.

La strategia, innanzitutto. Che si lega sia allo specifico contesto ucraino (ed est-europeo) sia al più ampio quadro globale cui la potenza egemone del sistema deve giocoforza guardare. Nelle intenzioni, rispondere con fermezza alla sfida della Russia e rimarcarne con forza la minaccia serve a cercare di deterrere un’azione russa, a ricompattare il fronte NATO e a dare un messaggio ad alleati e nemici, pronti a testare gli Usa, i secondi o a dubitare dei loro impegni, i primi. Serve in altre parole per ribadire la credibilità statunitense, una categoria, questa, che ha spesso condizionato – talora in modo assai poco sano – le scelte della politica estera americana. Un ingresso dell’Ucraina nella NATO è del tutto irrealistico e futuribile oggi (e lo era ben prima dell’esplodere di quest’ultima crisi). Una promessa esplicita che Kiev non entrerà mai nell’Alleanza, quale quella richiesta da Putin, è però irricevibile proprio per questi motivi. Danneggerebbe la credibilità statunitense – si sostiene a Washington – inducendo i rivali, a partire dalla Cina, a metterla alla prova anche in altri teatri ovvero provocando la defezione di alleati non più inclini a fidarsi degli Usa.

L’ideologia rimanda a quel collante democratico così centrale nel discorso di politica estera dell’amministrazione Biden. Che appare propensa a interpretare l’ordine internazionale corrente con le categorie – non di rado binarie e semplici –  della sfida epocale tra democrazie e autoritarismi. Con i secondi, guidati da Russia e Cina, pronti a usare ogni opportunità per estendere la loro influenza ed esporre la fragilità della democrazia statunitense. E con gli Usa chiamati a ribadire la validità e forza del loro universalismo democratico.

La politica, infine. Politica interna, in questo caso, con un’opinione pubblica americana refrattaria sì a intraprendere nuove crociate globali, ma al contempo decisamente critica verso la Russia, con una convergenza bipartisan molto forte che ritroviamo anche rispetto alla Cina. E con un conseguente sostegno alla risposta data alla sfida di Putin, di cui – in una democrazia – si deve inevitabilmente tenere conto e sulla quale si può anche sperare di capitalizzare politicamente ed elettoralmente.

Il Giornale di Brescia, 21 febbraio 2022

Di Mario Del Pero

Professore di Storia Internazionale e di Storia degli Stati Uniti all'Institut d'études politiques - SciencesPo di Parigi

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