E ora?

E ora ? La domanda è inevitabile; la risposta ovviamente impossibile. Quel che si può fare è al massimo avanzare ipotesi e prospettare scenari. Alcuni dei quali sono oggettivamente spaventevoli, perché spaventevole è la situazione che si è venuta a determinare: una delle due grandi potenze nucleari che invade il paese vicino e minaccia paesi della NATO, garantiti in teoria dall’articolo 5 dell’Alleanza per il quale un attacco contro un membro dell’Alleanza è un attacco contro tutti, inclusa – gli Usa – l’altra grande potenza nucleare.

Partiamo quindi da un presupposto per immaginare poi tre scenari. Il presupposto è che la sorte dell’Ucraina sia in larga misura segnata e che, con costi umani potenzialmente altissimi, sarà a breve uno stato a sovranità limitata, governato da attori filo-russi, con una politica estera e di sicurezza subordinata alle indicazioni e agli interessi di Mosca. Gli Usa e la NATO  estenderanno le loro garanzie e i loro aiuti militari a quegli alleati – baltici e Polonia su tutti – esposti più di tutti alla minaccia russa; soprattutto adotteranno una serie di sanzioni molto pesanti nei confronti di Mosca, destinate però a colpire anche le economie di quei paesi europei – la Germania in particolare – che dalle forniture energetiche russe dipendono e che sono finanziariamente legati alla Russia (non dimentichiamo che, per distacco, l’UE è il principale partner commerciale russo e la sua fonte principale d’investimenti diretti).

Date queste premesse, Il primo scenario è che si venga a determinare un equilibrio precario e instabile. Una situazione marcatamente volatile, a costante rischio di escalation, dove in Ucraina il regime vassallo della Russia deve confrontarsi quotidianamente con forme di resistenza interna, gli alleati NATO faticano a restare uniti di fronte a sanzioni che non ottengono i risultati ambiti e la Russia flirta con l’idea di forzare nuovamente la mano per perseguire l’obiettivo di scardinare l’ordine securitario e NATO-centrico che ancora rimane in Europa. È uno scenario, questo, caratterizzato da guadagni marginali e tentativi costanti di logoramento della controparte. Ed è uno scenario ovviamente esposto alle contingenze politiche ed elettorali, su tutte quelle statunitensi, e a possibili cambiamenti di linea che incrinerebbero la coesione euro-americana.

Il secondo scenario è quello apocalittico. Che un rapido successo in Ucraina induca Putin ad alzare il tono della minaccia contro paesi NATO alla frontiera con la Russia – i baltici – o a chiedere un corridoio di accesso diretto alla exclave di Kaliningrad, la città russa non territorialmente contigua alla madrepatria. E che in parallelo a questo assalto all’architettura di sicurezza europea ne sia mosso uno anche contro quella, ancor più fragile e meno istituzionalizzata, in Asia-Pacifico. Che una Cina imbaldanzita dai successi russi e dalla debolezza statunitense non lanci anch’essa un’azione revisionista a partire inevitabilmente da Taiwan. Il rischio di una guerra diventerebbe elevatissimo e le logiche dell’equilibrio nucleare sarebbero testate come non mai.

Il terzo è ultimo scenario è invece quello di una rapida risoluzione della crisi. Immaginabile in due varianti. La prima è che l’Ucraina incorporata dentro la sfera d’influenza russa si stabilizzi rapidamente, Putin si accontenti e vi sia una de-escalation nella quale a gesti simbolici ancora conflittuali, soprattutto da parte statunitense, si accompagna un graduale abbandono delle sanzioni e un ritorno ai normali rapporti economici tra Russia ed Europa. La seconda variante è quella di una capitolazione russa realistica solo attraverso un’azione interna volta alla deposizione di Putin da parte d’interessi economici o settori militari ostili al suo avventurismo. Un putsch, insomma, agevolato anche dalle sanzioni mirate adottate dagli Usa e dagli europei. Ma un putsch che per essere pienamente legittimato avrebbe bisogno poi di contropartite occidentali proprio rispetto all’Ucraina, incluse magari promesse esplicite rispetto alla sua neutralità.

Sono scenari che un tempo avremmo considerato da fantapolitica. Ma crisi di questa portata impongono di immaginare l’impensabile, senza appunto pretendere di poter predire il futuro.

Il Giornale di Brescia, 25 febbraio 2022

Di Mario Del Pero

Professore di Storia Internazionale e di Storia degli Stati Uniti all'Institut d'études politiques - SciencesPo di Parigi

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