Mia figlia era in piazza a Roma. Con la paura, l’ingenuità, la voglia di fare qualcosa che un/a dicianovenne un pelo sensibile alle cose del mondo ha in questi momenti tanto spaventevoli. A manifestare contro la guerra: contro la guerra di aggressione di Vladimir Vladimorovich Putin. Che lei, come i suoi amici e di certo senza bisogno di discuterne con il padre, ha molto chiaro nel caso specifico chi sia l’aggressore e chi l’aggredito, chi il carnefice e chi la vittima. Mi racconta oggi che sì, c’erano degli idioti capaci diattribuire equanimamente le colpe e mettere i due – aggressore e aggredito – sullo stesso piano; che c’erano dei pacifisti integrali; che c’erano le solite cariatidi circensi di queste occasioni. E che erano largamente minoranza; non irrilevante, ci mancherebbe (e sappiamo bene quali storie e tradizioni politiche e di protesta vi siano dietro), ma minoranza. Sulle quali si concentrava però ossessivamente l’occhio di tutti i media presenti. Che fa più colpo quello che dei diciannovenni mediamente informati che protestano contro Putin. Soprattutto, fa più gioco a una narrazione mediatica che conosciamo bene ormai da anni. Una narrazione fatta di una sorta di gioco di specchi, nella quale le due parti – i professionisti del pacifismo e dell’anti-atlantismo a prescindere e quelli cui andava bene pure la guerra in Iraq – si riflettono e in una certa misura legittimano (ps: che poi, tra quelli che ora cavalcano questa narrazione, vi sia anche chi che fino all’altro ieri celebrava il viril Putin – come ci ricorda Enrico Palumbo – aggiunge in una certa misura ironia a ironia)