Al prolungarsi della guerra in Ucraina crescono il numero di vittime, con un aumento percentuale di quelle civili, e s’intensifica l’attività diplomatica per cercare di trovare una via d’uscita. Tra le due – escalation degli scontri e della loro violenza e internazionalizzazione dei negoziati – vi è un intreccio strettissimo. La novità più importante di questi ultimi giorni è stato il dialogo tra Cina e Stati Uniti, prima con l’incontro a Roma tra il Consigliere per la sicurezza Nazionale statunitense Jake Sullivan e il responsabile della politica estera del partito comunista cinese Jang Chiechi, e poi con il bilaterale virtuale tra i due presidenti Joe Biden e Xi Jinping. Cosa ci dicono questi vertici? E quali sono le possibilità e i limiti di questo dialogo sino-statunitense rispetto al tentativo di risolvere il terribile conflitto in Ucraina?
Innanzitutto, è evidente la preoccupazione sia che la guerra vada fuori controllo sia che le misure adottate dalle varie parti in causa, e soprattutto le sanzioni contro la Russia, possano generare riverberi dai quali, nel mondo altamente integrato da oggi, nessuno uscirebbe pienamente indenne. Alti costi delle materie prime; instabilità finanziaria; turbolenze monetarie; pesanti perdite borsistiche; venir meno della certezza di norme e regole piegate alle contingenze della guerra (si pensi solo al congelamento delle riserve russe o alle misure adottate contro i patrimoni degli oligarchi). Tutto è stato già sperimentato in queste settimane di guerra con ripercussioni già fortemente destabilizzanti. Si fantastica spesso su possibili assi russo-cinesi che, allo stato attuale, sono al meglio altamente futuribili. La Cina rimane attore molto integrato nell’ordine capitalistico e nella sua inestricabile rete d’interdipendenze. Anche per perseguire i suoi progetti più ambiziosi ha bisogno di stabilità e certezze che sembrano ogni giorno venir meno. Bisogno, questo, che è anche degli Usa, consapevoli che il prolungarsi del conflitto alza il rischio di una sua estensione fuori dai confini ucraini, incrina l’unità di suo fragile del fronte euro-statunitense e alimenta dinamiche inflattive che stanno contribuendo alla grande impopolarità di Biden in patria. Un maggior impegno diplomatico cinese può insomma venire molto comodo agli Usa.
E però qui cominciano anche i rischi. La guerra in Ucraina segue una fase di pesante deterioramento dei rapporti tra Cina e Stati Uniti. E viene declinata da entrambe le parti in termini competitivi e antagonistici. Gli Usa di Biden parlano un discorso di politica estera binario e tutto centrato sulla partizione tra democrazie e autoritarismi, tra la comunità a leadership statunitense che si andrebbe formando tra le prime e le assi minacciose e revisioniste costruite dalle seconde. E un discorso nel quale la Cina non è l’interlocutore con il quale – per la sua potenza e il suo di raggio d’influenza – si deve collaborare a risolvere le crisi internazionali e nell’immaginare una nuova struttura di governance, ma un avversario quasi esistenziale a cui prospettare, come l’amministrazione Biden ha peraltro fatto, punizioni e sanzioni qualora non seguisse la linea richiesta. Per la Cina la tentazione di usare questa crisi per indebolire ancor più gli Usa, o per testarne la fermezza anche in Estremo Oriente, pare sempre dietro l’angolo. L’imperativo della collaborazione si scontra in altre parole con la tentazione della competizione, a cui negli Usa contribuisce anche una spinta interna ed elettorale, peralto molto bipartisan, che negli ultimi anni si è fatta particolarmente visibile. È questo un dilemma in una certa misura strutturale della relazione, e dell’interdipendenza, sino-statunitense. Che questa terribile guerra ci ha messo una volta ancora sotto gli occhi.
Il Giornale di Brescia, 21 marzo 2022