Le audizioni della commissione sul 6 gennaio

Le audizioni della commissione d’inchiesta della Camera dei Rappresentanti sui fatti del 6 gennaio 2021 offrono uno spaccato nitido, e al tempo stesso agghiacciante, di quella giornata e di ciò che la precedette. Di un disegno eversivo perseguito dal Presidente Trump e da un numero sempre più ristretto di suoi collaboratori finalizzato a rovesciare l’esito delle elezioni presidenziali e impedire l’insediamento di Joe Biden. Esaurite le carte di riconteggi e verifiche che confermarono sistematicamente la correttezza del voto e fallite le pressioni sulle autorità statali responsabili per la sua validazione, Trump diresse la sua attenzione sul Vicepresidente Mike Pence, che il 6 gennaio, nelle sue funzioni di Presidente del Senato, aveva il compito di conteggiare i grandi elettori statali durante una sessione congiunta del Congresso. Un ruolo poco più che cerimoniale, questo, che alcuni oscuri giuristi vicini a Trump proposero però di stravolgere, chiedendo a Pence di rigettare unilateralmente alcune delegazioni statali, sostituendole con altre pro-Trump o dando ulteriore tempo agli Stati per produrre delle delegazioni alternative. È questo il primo elemento che emerge dalle audizioni: l’audace tentativo, perseguito fino all’ultimo, di una via che non aveva alcuna base legale (cosa di cui lo stesso Presidente, pur nel suo acclarato analfabetismo istituzionale, sembrava essere consapevole).

Il secondo elemento evidenziato dalle audizioni è il crescente isolamento di Trump in quelle settimane. Il suo ministro della Giustizia, William Barr prese rapidamente le distanze, riconoscendo l’infondatezza delle denunce di brogli. Nelle sue deposizioni alla Commissione, Barr ha parole durissime verso un Presidente ormai “distaccato dalla realtà”, catturato da “tesi idiote” e “disinteressato ai fatti per quel che erano”. La figlia Ivanka e il genero Jared – influenti consiglieri speciali del Presidente – a loro volta hanno dichiarato alla Commissione di non aver condiviso la linea del padre/suocero, credendo invece alla correttezza del voto. Ma le settimane precedenti al 6 gennaio videro molteplici altri funzionari, di livello alto e medio, allontanarsi dal Presidente e al dipartimento di Giustizia si giunse a paventare addirittura le dimissioni di massa. La conseguenza fu l’ulteriore crescita dell’influenza esercitata su Trump da figure minori e radicali, “brigate di mediocri” le definisce giustamente lo studioso Tom Nichols, che partorirono alcuni degli improbabili schemi con i quali si cercò di rovesciare l’esito del voto.

Il terzo aspetto che emerge dalle audizioni è quello più problematico e per certi aspetti spaventevole. Una parte maggioritaria dell’elettorato repubblicano volle credere, e spesso continua a credere, alla leggenda della vittoria rubata. E ritenne dovere patriottico mobilitarsi per impedirne la realizzazione: per riappropriarsi della libertà fraudolentemente sottratta. Quella base Trump decise scientemente di aizzare, sperando di poter indurre Pence e i repubblicani a capitolare: ad avallare un golpe le cui conseguenze sarebbero state drammatiche (durante le audizioni, Greg Jacob, il principale consigliere legale di Pence, ha dichiarato che a quel punto l’elezione sarebbe “stata decisa nelle strade”). Il 6 gennaio e l’assalto violento al Congresso fu l’inevitabile portato di tutto ciò. La sua dimensione quasi carnevalesca ha spesso occultato la violenza, effettiva e potenziale, di quella giornata che causò cinque morti e numerosi feriti. I video e le immagini – spesso inedite – mostrate dalla Commissione parlano quanto e più di molte deposizioni. Alla folla che chiede a gran voce d’impiccare Mike Pence corrispondono le foto del Vicepresidente nascosto per ore in un magazzino del Congresso che osserva, incredulo, i tweet di un Presidente in carica incapace di condannare i manifestanti. A ricordarci della fragilità della democrazia e, oggi, della patente crisi politica e costituzionale di quella statunitense, la più antica e potente ancora in vita.

Il Giornale di Brescia, 19.6.2022

Di Mario Del Pero

Professore di Storia Internazionale e di Storia degli Stati Uniti all'Institut d'études politiques - SciencesPo di Parigi

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