Un’alleanza militare si definisce in funzione di un nemico e di un pericolo. Quella Atlantica, nata nel 1949, non fa eccezione. Il nemico era allora l’Unione Sovietica; il pericolo – per chi a quella alleanza diede vita – era il comunismo internazionale, ovvero la saldatura tra un’ideologia che catturava l’immaginario di molti e la straordinaria potenza sovietica. Scomparse quella potenza e quell’ideologia, l’Alleanza Atlantica e la sua organizzazione, la NATO, hanno faticato a ridefinire la propria funzione e missione. I documenti periodicamente prodotti dalla NATO nel post-Guerra Fredda – i cosiddetti “concetti strategici” – hanno quasi sempre costituito testi vaghi, pregni di retorica e, per lo sfortunato lettore, straordinariamente soporiferi. Tentativi quasi mai riusciti di definire quale fosse il compito di un’Alleanza senza nemico e, di riflesso, scopo.
Nel 2022 quel nemico è stato pienamente ritrovato. E l’ultimo “concetto strategico” della NATO – adottato al summit di Madrid della settimana scorsa – lo indica con ovvia chiarezza. Se quello del 2010 invocava l’obiettivo della collaborazione strategica con Mosca, nel 2022 la Russia viene definita come “la minaccia più diretta e rilevante alla sicurezza degli Alleati e alla pace e stabilità nell’area Euro-Atlantica”. Un attore, quello russo, che cercherebbe di erodere un ordine internazionale basato su regole e norme condivise, con la creazione di “sfere d’influenza” e “il controllo diretto attraverso la coercizione, la sovversione, l’aggressione e l’annessione”.
La guerra in Ucraina ha in una certa misura sgomberato il campo da ogni equivoco residuo. La Russia torna a essere il nemico assoluto. La NATO ritrova la sua missione e, anche, quel collante con cui tenere assieme trenta paesi che sui temi della sicurezza raramente sono capaci di parlare con una voce comune. Contestualmente cresce l’impegno dell’Alleanza e dei suoi membri. Si crea un nuovo comando in Polonia, si estende la presenza militare in Europa centro-orientale, si amplia e di molto la Forza di Azione Rapida dell’Alleanza. Di un’Alleanza che, peraltro, torna una volta ancora ad allargarsi accogliendo la domanda d’ammissione di Finlandia e Svezia.
Decisioni e scelte, queste, validate da opinioni pubbliche inorridite di fronte all’aggressione russa all’Ucraina e a una guerra sul suolo europeo come non si vedeva dal secondo conflitto mondiale. Secondo i sondaggi, ad esempio, nella pacifica e neutrale Svezia, larghissime maggioranze si dichiarano oggi favorevoli al rapido ingresso del paese nella NATO.
I problemi, i cortocircuiti e le incognite però non mancano. È un’Alleanza Atlantica a trazione Usa-Regno Unito-Polonia, quella che si va configurando. Retorica – quella retorica dispiegata a larghe mani a Madrid – vorrebbe vi fosse una complementarità con un’Europa che alza anch’essa la soglia del suo impegno militare. La realtà è che l’autonomia strategica europea sognata da Macron e altri difficilmente è compatibile con la rinnovata, piena atlantizzazione delle dinamiche securitarie europee. Nel mentre, su evidente sollecitazione statunitense e con una pericolosa sovraestensione delle sue funzioni, la NATO del nuovo “concetto strategico” ambisce a essere globale nell’individuare un secondo, grande nemico: quella Cina – il documento asserisce – che delle democrazie atlantiche minaccerebbe “interessi, sicurezza e valori”. Valori, terzo e ultimo cortocircuito della nuova strategia atlantica, costantemente invocati in un documento imbevuto del lessico atlantista (e bideniano) della comunità di democrazie, dei diritti umani e del primato del diritto. Ma valori, come sappiamo, applicati a targhe alterne e facilmente barattabili, come si è ben visto nelle concessioni fatte alla Turchia per evitare il suo veto all’ingresso nell’Alleanza di Svezia e Finlandia.
Il Giornale di Brescia, 6 luglio 2022