Deglobalizzazione?

La decisione dell’Arabia Saudita di andare contro l’alleato statunitense e approvare la decisione dell’OPEC, caldeggiata dalla Russia, di ridurre la produzione di petrolio per puntellarne il prezzo. La pubblicazione della prima dottrina di sicurezza nazionale (NSS) dell’amministrazione Biden nella quale la parola “competizione” appare ben 44 volte e quella “globalizzazione” una sola, peraltro in riferimento a un passato da archiviare. Gli ultimi dati sui principali acquirenti istituzionali stranieri dei titoli del Tesoro statunitense, che confermano l’accelerato disimpegno cinese, con un portafoglio complessivo che continua a diminuire, scendendo al livello più basso degli ultimi dodici anni.

Sono solo alcuni esempi recenti dei processi di frammentazione dell’ordine internazionale che sembrano qualificare la fase storica in cui viviamo come un’epoca di deglobalizzazione dopo quasi mezzo secolo d’intensa integrazione globale. Le cause e le manifestazioni di questa frammentazione sono plurime. I pericoli di cui essa rischia di farsi levatrice tanti e alcuni, si pensi al conflitto ucraino, drammaticamente manifesti.

Agisce l’onda lunga della crisi del 2007-8 e di quel che essa ha rivelato. Una crisi che affondò la rappresentazione benigna e molto ideologica della globalizzazione, per la quale vi erano solo vincitori – la Cina che produceva, gli Usa e (in parte) l’Europa che consumavano, i mercati azionari volatili sì come non mai, ma comunque in crescita – e non vinti. E dalla quale emerse la consapevolezza che come in tutte le trasformazioni epocali, anche quella contemporanea aveva avuto pesanti costi sociali, in particolari per alcuni segmenti e aree delle società più ricche, incapaci di competere con i paesi dove veniva delocalizzata la produzione e vittime prime dell’esplosione della diseguaglianza di redditi e ricchezza.

Pesa il deterioramento inarrestabile di uno dei pilastri nodali dei processi d’integrazione globale: l’interdipendenza tra Cina e Stati Uniti. Deterioramento, questo, prodotto da diverse concause tra le quali la crescente assertività della Cina nell’Asia-Pacifico e il risentimento di una parte dell’opinione pubblica statunitense verso un partner che si ritiene non rispetti le regole dell’economia globale e contribuisce a una deindustrializzazione che ha devastato alcune regioni degli Usa, in particolare nel Midwest.

Incide, infine, la crisi dell’ordine internazionale e delle istituzioni preposte alla sua governance. Istituzioni spesso obsolete e inefficaci, ma anche dolosamente delegittimate dai doppi standard nell’applicazione delle loro regole e dai privilegi, reclamati e praticati, da alcune delle principali potenze, gli Stati Uniti su tutti.

È una frammentazione, questa, che si manifesta su diversi livelli e in vari ambiti: economico, geopolitico, finanche ideologico con la crisi patente del cosmopolitismo che la globalizzazione aveva giustificato e da cui era stato nutrito ed esaltato. Ed è una frammentazione alla quale gli Usa di Biden rispondono cercando di rilanciare e approfondire forme d’integrazione regionale, come quella transatlantica, funzionali a rispondere alle sfide nuove e, soprattutto, al contenimento della Cina: “il solo attore”, afferma la NSS di Biden, “che ha sia l’intenzione di rimodellare l’ordine internazionale sia le capacità economiche, militari, diplomatiche e tecnologiche per farlo”.

Non è inevitabile, questa deglobalizzazione. Vi sono forze – inclusi importanti gruppi economici mondiali – che la contrastano; e vi è chi sollecita un ripensamento della sua natura e delle regole della sua governance, non una ritirata in blocchi regionali in pericolosa competizione tra loro oltre che inidonei a rispondere ad alcune sfide cruciali di oggi, il cambiamento climatico su tutti. La frammentazione è però in atto e la guerra ucraina ha anch’essa concorso ad acuirla e accelerarla.

Il Giornale di Brescia, 18 ottobre 2022

Di Mario Del Pero

Professore di Storia Internazionale e di Storia degli Stati Uniti all'Institut d'études politiques - SciencesPo di Parigi

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