Verso il mid-term, II

Al mid-term dell’8 novembre gli americani saranno chiamati a votare per numerose cariche federali, statali e locali. Si eleggerà l’intera Camera dei Rappresentanti (435 seggi) e un terzo del Senato (34 senatori su 100 a cui si aggiunge un’elezione suppletiva in Oklahoma). Ma si voterà anche per gran parte dei congressi statali e per ben 36 governatorati. In palio saranno anche cariche un tempo considerate minori – come quelle dei segretari di Stato (27 quest’anno) – che spesso hanno la responsabilità di gestire e validare le operazioni elettorali e la cui importanza è stata evidenziata nelle complesse settimane successive alle presidenziali del 2020, quando ebbero il compito di contrastare la tentata eversione trumpiana. Infine, vi sarà il consueto ampio numero di referendum statali, su grandi questioni di rilevo nazionale– come aborto e tasse – o su temi prettamente locali (il Tennessee, ad esempio, vota alcuni emendamenti costituzionali, uno dei quali serve per abolire schiavitù o servitù a contratto come punizioni per reati penali).

Secondo i sondaggi,  i repubblicani riconquisteranno quasi sicuramente la Camera. Più incerta è la situazione al Senato. La mappa elettorale favorisce i democratici, che devono difendere solo 14 dei 35 seggi in palio. Ma l’equilibrio alla camera alta è totale, con 50 senatori per parte e il pareggio rotto dal voto della Vicepresidente Harris. Ai repubblicani basta cioè conquistare un seggio per rovesciare la maggioranza. Come sempre tutto si giocherà in pochi stati decisivi – Arizona, Nevada, Wisconsin, Ohio, Pennsylvania e Georgia. E anche in questo caso i sondaggi sembrano indicare una situazione fattasi più vantaggiosa per i candidati repubblicani.

Perché e con quali conseguenze? Varie risposte possono essere offerte. Con pochissime eccezioni, le elezioni di mid-term dell’ultimo secolo si sono quasi sempre concluse con una sconfitta del partito del Presidente, in particolare alla Camera. Pesa la frequente disillusione nei confronti dell’operato dell’amministrazione: lo scarto tra promesse e aspettative. E incide la maggiore capacità del partito all’opposizione di mobilitare il proprio elettorato in un voto che, rispetto alle Presidenziali, è caratterizzato da un basso tasso di partecipazione. Elementi, questi, fattisi ancor più acuti in un’epoca di acuta polarizzazione quale quella corrente, come le pesanti sconfitte di Obama nel 2010 e Trump nel 2018 hanno ben evidenziato.

Durante l’estate parve che i democratici potessero infrangere questa regola della sconfitta del partito del Presidente al mid-term. Le audizioni della commissione d’inchiesta sul 6 gennaio e le patenti responsabilità di Trump nell’aver aizzato la folla che assaltò il Congresso rimisero il tema della democrazia e della sua difesa al centro del dibattito politico. La vittoria di candidati estremi e pro-Trump, in teoria meno presentabili e più vulnerabili, in alcune primarie repubblicane sembrò avvantaggiare i democratici. Soprattutto, la decisione della Corte Suprema di porre termine alla garanzia federale al diritto di aborto parve offrire una potente arma elettorale ai democratici, come confermarono alcune elezioni suppletive e un referendum costituzionale in Kansas vinto a sorpresa (e largamente) dal fronte pro-aborto. Questa tendenza è andata progressivamente arenandosi nelle ultime settimane. A dominare la campagna elettorale sono temi – costo della vita e criminalità su tutti – che favoriscono i repubblicani. Con l’inflazione sopra l’8%, la Federal Reserve che alza continuamente i tassi per fronteggiarla e molte città americane a fare i conti con livelli di criminalità che non si vedevano da anni, i democratici si trovano chiaramente sulla difensiva. Non aiuta la bassa popolarità del Presidente, un altro indicatore storico dei risultati del mid-term.

Quasi certamente, quindi, nel prossimo biennio avremo un governo diviso. A cui conseguirà un ulteriore abbassamento della produttività legislativa, una propensione della Presidenza a governare ancor più attraverso decreti esecutivi e una intensificazione di una polarizzazione e di una conflittualità politica ormai da tempo oltre il livello di guardia.

Il Giornale di Brescia, 2.11.2022

Di Mario Del Pero

Professore di Storia Internazionale e di Storia degli Stati Uniti all'Institut d'études politiques - SciencesPo di Parigi

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