Nancy Pelosi steps down

Con la conquista repubblicana della Camera dei rappresentanti, termina la seconda Presidenza Pelosi (2019-2023) dopo quella del 2007-2011, quando fu la prima donna nella storia a divenire Speaker. Presidenze relativamente brevi, in un’epoca caratterizzata dalla prevalenza di governi divisi (16 su 23 bienni dagli anni Ottanta a oggi, se ho contato bene). E presidenze ferocemente contestate da avversari politici che nella deputata di San Francisco hanno spesso individuato il loro bersaglio principale. Con un discorso al solito molto alto e fortemente patriottico, nel quale centrale è stato il tema della minaccia a una democrazia, quella americana, “maestosa sì, ma fragile”, Pelosi ha annunciato che non si ricandiderà alla guida del caucus democratico alla Camera bassa: “è arrivata l’ora che una nuova generazione prenda la guida di quel caucus democratico che rispetto così profondamente” ha dichiarato. E però non abbandonerà il Congresso e non andrà a fare l’ambasciatrice in Italia, come alcuni media conservatori statunitensi – prontamente ripresi dai nostri – avevano ipotizzato un paio di mesi fa, con il patente obiettivo di screditarne la leadership (e di mettere il dito nella piaga di nomine diplomatiche ancora nel guado, a causa dell’ostruzionismo repubblicano, certo, ma anche di una certa incompetenza dell’amministrazione).

Pelosi lascia la speakership con altissimi tassi d’impopolarità, peggiori anche di quelli di Biden. Secondo alcuni sondaggi il 55 % degli americani ha un’opinione negativa di lei, e una maggioranza di questi un’opinione molto sfavorevole. Ovviamente, nel contesto polarizzato odierno, questa antipatia è particolarmente marcata e diffusa tra i repubblicani, per i quali la Pelosi è una delle figure più invise se non odiate. Molti degli assalitori del Congresso del 6 gennaio proprio lei cercarono per prima, il suo ufficio fu vandalizzato, e alcuni pare si divertirono nell’urinare e defecare sulla sua scrivania.

Come si spiega questo odio? In fondo, Pelosi è una democratica relativamente moderata, spesso attaccata dalla sinistra del partito, da sempre fortemente critica nei confronti della Cina e con posizioni piuttosto convenzionali da liberal internazionalista in materia di politica estera. In grande sintesi, credo si possano offrire tre spiegazioni principali:

  1. La prima è tutta legata alla natura identitaria del conflitto politico odierno. Si odia Pelosi non per la sua politica, ma per quello che simboleggia e rappresenta: una liberal non solo californiana, ma proprio della Bay Area. L’epitome, cioè, di un liberalismo metropolitano, californiano e cosmopolita che per molti elettori repubblicani rappresenta un male quasi assoluto oggi e che comunque esprime in forma quasi quintessenziale uno dei due campi della polarizzazione odierna (coste vs. heartland, aree metropolitane vs. aree rurali/exurbane, ecc. ecc.)
  • La seconda è ovviamente che si tratta di una donna. Nel 2007, quando divenne speaker disse che aveva infranto un soffitto non di vetro ma di marmo (“a marble ceiling”) in riferimento sì al marmo che domina tante parti degli edifici del Congresso, ma anche al fatto che quel soffitto è ben più solido e impenetrabile del semplice vetro. Nell’elettorato repubblicano è grandemente sovrarappresentata la componente maschile (e, entro questa, quella bianca, over 45, con livelli d’istruzione bassi e medio-bassi). Tanto per intenderci, alle ultime presidenziali gli uomini bianchi senza titolo di studio post-superiore (paragonabile a terza media o scuola dell’obbligo da noi), che costituiscono quasi un quinto dell’elettorato, avrebbero votato 70 a 28 per Trump. Alle primarie repubblicane, come avremo modo di vedere tra poco più di un anno, questi segmenti elettorati sono nettamente prevalenti. Emblematico a tal riguardo è un sondaggio Gallup del 2013, alla fine della sua prima speakership, quando il tasso d’impopolarità suo risultò molto più alto di quello degli altri tre leader (uomini) dei due partiti al Congresso, Reid, Boehner e McConnell.
  • La terza è più istituzionale. In tutti i sondaggi sulla fiducia degli americani nelle istituzioni, il Congresso si piazza invariabilmente all’ultimo posto seguito dai media (small business , i militari e le forze di polizia sono invece in testa alla lista). È funzione, questa, della più generale debolezza e della delegittimazione della politica: di una denuncia della palude washingtoniana, la “Washington ladrona” diremo noi, molto più diffusa tra gli elettori repubblicani (dove la fiducia nel Congresso non supererebbe il 7%….). Chi lo guida, quel Congresso, non può che risultare impopolare o sommare impopolarità a impopolarità, come hanno scoperto in fondo – ma meno della Pelosi – anche gli ultimi speaker repubblicani John Boehner (2011-15) e Paul Ryan (2017-19). Boehner e Ryan la cui carriera politica è terminata con quella esperienza, anche perché entrambi – diversamente da Pelosi – hanno ben pensato di farla seguire con una ben più remunerativa esperienza come consulenti e lobbisti (Boehner addirittura per vari interessi cinesi)…..

Di Mario Del Pero

Professore di Storia Internazionale e di Storia degli Stati Uniti all'Institut d'études politiques - SciencesPo di Parigi

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