La “questione” americana e quella tedesca

La guerra in Ucraina ha ricompattato un blocco euro-statunitense attraversato negli ultimi anni da profonde tensioni. Nel quale rimangono però aperte, e in larga misura irrisolte, due grandi questioni: quella tedesca e quella americana. Gli Usa sono ovviamente il leader, e in ultimo il soggetto federatore, dell’ordine atlantico e dell’alleanza tra Europa e Stati Uniti. La Germania è la potenza di fatto superiore del sub -ordine europeo: l’attore più influente nel Vecchio Continente per forza economica, ruolo geopolitico e peso demografico.

E però entrambi appaiono frequentemente come egemoni privi di egemonia: incapaci cioè di adempire alle funzioni che questa dotazione di potenza attribuisce loro. Lo si vede nelle contraddizioni delle loro risposte alle grandi crisi del XXI secolo, inclusa questa ultima sull’Ucraina, così come nei loro rapporti, tanto centrali nelle dinamiche dell’integrazione transatlantica.

La “questione americana” – il deficit d’egemonia dell’egemone atlantico (e globale) – si manifesta in diverse forme, a partire dai doppi standard che connotano l’azione internazionale di Washington e che ne indeboliscono spesso credibilità e legittimità ultime. L’aggressione russa all’Ucraina è stata correttamente denunciata dall’amministrazione Biden come una violazione della sovranità di Kiev, uno sfregio al diritto internazionale e un assalto alla democrazia ucraina. Nella narrazione dominante a Washington, quella in corso è quindi guerra per la democrazia e per il diritto; per riaffermare principi e norme di un ordine internazionale di suo fragile e contestato. Principi e norme che nel dopo Guerra Fredda gli Usa hanno però concorso dolosamente a minare: con un unilateralismo spesso sprezzante verso le istituzioni della governance globale, l’Onu su tutte; con le reiterate inosservanze del diritto internazionale, incluse le stesse convenzioni di Ginevra di cui si fece strame in nome della campagna contro il terrorismo; con la frequente violazione di quella sovranità nazionale che ora s’invoca invece come intoccabile principio ordinatore del sistema internazionale. Doppi standard, unilateralismo e rivendicazioni di privilegi di potenza che si legano a (e spesso derivano da) la volatilità e la disfunzionalità di una politica interna che influenza anche l’azione internazionale degli Usa. Gli Stati Uniti che entrano ed escono dagli accordi sul cambiamento climatico, che sussidiano loro settori economici in spregio alle norme mondiali sul commercio, che non accettano la giurisdizione della Corte Penale Internazionale – per citare solo alcuni esempi tra i tanti – risultano attore spesso inaffidabile e turbativo di un sistema internazionale di cui l’egemone dovrebbe invece garantire certezza e stabilità.

Questo intreccio spesso nocivo tra contesto interno e politica estera è alla base anche della “questione tedesca”. In numerosi passaggi degli ultimi anni – dalla risposta alla crisi del 2008 a quella del debito greco – la Germania è venuta clamorosamente meno alle sue responsabilità egemoniche, non di rado sulla spinta di un’opinione pubblica interna catturata da uno schema narrativo molto popolare che contrappone le virtù tipicamente tedesche della frugalità e del buon governo ai vizi di un’Europa meridionale inefficiente e parassita. Ma la “questione tedesca” è visibile anche nelle diverse tappe della vicenda ucraina, scandite da un unilateralismo evidente sia nell’irresponsabile tentativo di costruire una sorta di asse privilegiato con la Russia anche dopo il 2014 sia – una volta scoppiata la guerra – con lo sforzo di proteggersi dagli effetti economici del conflitto senza considerare i partner europei. Le due “questioni” rischiano di avvelenare la relazione bilaterale tra Washington e Berlino, come si vede anche nelle diverse posizioni adottate rispetto ai rapporti con la Cina, e di riflesso alimentano tensioni dentro l’ordine atlantico cui la guerra in Ucraina ha solo temporaneamente messo la sordina. 

Il Giornale di Brescia, 30 dicembre 2022

Di Mario Del Pero

Professore di Storia Internazionale e di Storia degli Stati Uniti all'Institut d'études politiques - SciencesPo di Parigi

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