Il viaggio di Blinken in Medio Oriente

È iniziata domenica in Egitto la tre giorni del Segretario di Stato Antony Blinken in Medio Oriente. Ieri Blinken si è incontrato con il premier israeliano Benjamin Netanyahu e con il suo Ministro degli Esteri, Eli Cohen; oggi andrà a Ramallah per vedere il Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas.

Programmato da tempo, il viaggio avviene nel mezzo dell’ennesima escalation di violenza tra israeliani e palestinesi e con un nuovo governo appena insediatosi in Israele. Governo nazionalista e ultraconservatore, questo, che rappresenta per molti aspetti il peggior interlocutore possibile dell’amministrazione Biden. Quali obiettivi si pongono allora gli Usa rispetto ai rapporti con lo storico alleato israeliano? E in che modo il viaggio di Blinken è funzionale a tali obiettivi?

Le risposte sono plurime, ma una premessa è indispensabile: la relazione tra Israele e Stati Uniti rimane ancora profonda e per molti aspetti “speciale”. Israele continua a essere, per distacco, il principale beneficiario degli aiuti militari statunitensi; nell’ambito della sicurezza e dell’intelligence la cooperazione, e finanche l’integrazione, non è mai venuta meno; solo la settimana scorsa, le forze armate dei due paesi hanno partecipato a un’imponente esercitazione comune – definita senza precedenti – proprio per segnalare ai potenziali nemici, Iran su tutti, la solidità ed efficacia della loro partnership militare.

Ciò detto, Blinken si muove su un terreno minato e con mezzi per molti aspetti spuntati. Al di là delle consuete dichiarazioni di circostanza sulla necessità di continuare a perseguire il progetto dei due Stati, il processo di pace è ormai da tempo su un binario morto e non s’intravede al momento alcuna possibilità di ravvivarlo. L’ambizione di Obama di sparigliare le carte, reinserendo l’Iran nel gioco diplomatico mediorientale, è stata a sua volta affondata: dall’opposizione politica interna agli Usa, spesso trasversale e bipartisan; dall’efficace opera di boicottaggio promossa da Israele; dalle incoerenze e dalla cinica spregiudicatezza di Teheran. L’asserita volontà dell’amministrazione Biden di rimettere il tema dei diritti umani al centro della politica statunitense della regione, anche a costo di sacrificare rapporti storici come quello con l’Arabia Saudita, si è infranta contro interessi ed esigenze immediati, inducendo Biden a una precipitosa retromarcia.

L’obiettivo statunitense rimane pertanto quello di evitare scontri e violenze che destabilizzino la regione o permettano all’Iran d’interferire, facendo leva sui tanti proxy di cui dispone, a partire ovviamente da Hezbollah. E per farlo è anche necessario impedire una radicale deriva nazionalista e autoritaria d’Israele stesso. Che acuirebbe le tensioni, come abbiamo ben visto in questi ultimi giorni. E che alimenterebbe dentro la sinistra statunitense una fronda assai critica nei confronti d’Israele di già rafforzatasi negli ultimi anni, che rischia di dividere il partito del Presidente e risultare elettoralmente controproducente.

Per gli Usa, insomma, è necessario puntellare lo status quo. Non perché questo sia ideale, tutt’altro. Ma perché le alternative realistiche prospettano invariabilmente scenari peggiori. Blinken inviterà Abbas a continuare a collaborare con gli apparati di sicurezza israeliani contro le forze estremiste che operano in Cisgiordania, brandendo quegli aiuti economici che l’amministrazione Biden ha riattivato dopo il loro congelamento da parte di Trump. E ribadirà a Netanyahu la ferma opposizione a nuovi insediamenti nelle terre palestinesi o a progetti, come la riforma della giustizia, che sembrano far saltare l’equilibrio di poteri e che preconizzano una svolta illiberale della democrazia israeliana. Sono obiettivi per molti aspetti minimalisti, soprattutto se confrontati con le speranze di un trentennio fa, quando si ratificavano gli accordi di Oslo e Rabin e Arafat offrivano alle telecamere una storica stretta di mano. Ma questi trent’anni hanno stravolto, e non in meglio, il Medio Oriente e la stessa democrazia israeliana, e oggi a questo gli Usa possono ambire.

Il Giornale di Brescia, 31 gennaio 2023

Di Mario Del Pero

Professore di Storia Internazionale e di Storia degli Stati Uniti all'Institut d'études politiques - SciencesPo di Parigi

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