La vicenda del fallimento della Silicon Valley Bank (la SVB), la “coraggiosa” banca dei crediti alle start-up californiane, ci mostra tutte le fragilità del sistema finanziario statunitense in un contesto che rimane assai volatile e incerto. È immaginabile un contagio? Rischiamo una replica di quella tempesta finanziaria che si abbatté sul mondo tra fine 2007 e inizio 2009, provocando una crisi globale i cui effetti – politici ed economici – sentiamo ancor oggi?
Delle risposte le avremo nei giorni e nelle settimane a venire, quando si capirà anche se le grandi banche saranno coinvolte e coopereranno (come ha fatto HSBC, acquisendo la filiale britannica di SVB). Le differenze – rispetto a quindici anni fa – sono grazie al cielo significative. La SVB non pare essere implosa per un eccesso di rischio. Nel suo portafoglio non vi erano titoli tossici od opaci, come fu per tante banche nel 2007. Al contrario, aveva sovra-investito in titoli del Tesoro statunitense a bassa resa e lunga scadenza diventati problematici una volta che la FED (come la BCE in Europa) ha iniziato ad alzare in modo accelerato i tassi d’interesse per fronteggiare la spirale inflazionistica. Il suo management è stato lento, e forse fin troppo conservatore, nel reagire anche perché di fronte aveva una clientela – imprenditori di quella che un tempo avremmo definito la new economy – molto più attenta di quella convenzionale e veloce nel ritirare i propri depositi di fronte alle prime avvisaglie di crisi. Al contempo, e questo è il dato forse in assoluto più rilevante e positivo, gli strumenti regolamentatori sono immediatamente entrati in azione, garantendo tutti coloro che avevano depositi in SVB o in un’altra banca minore newyorchese, anch’essa insolvente (la Signature Bank). La FED ha a sua volta attivato subito un programma straordinario di prestiti per banche e istituzioni finanziarie in difficoltà.
Tutto bene, dunque? No, e la risposta preoccupata di politici, banchieri e investitori – con le pesanti perdite borsistiche di ieri – ce lo rivela. L’impennata dei tassi d’interesse per raffreddare la fiammata inflazionistica rischia di mandare in sofferenza anche chi, come SVB, non ha preso rischi eccessivi. Anni di tassi prossimi allo zero, o addirittura negativi, hanno alimentato aspettative e previsioni sulle quali si sono basate poi scelte – mutui a tassi fissi bassissimi o portafogli poco diversificati e a bassa resa come quelli di SVB – che oggi rischiano davvero di costare moltissimo. Nel mentre, un sistema più regolamentato si è trovato a fare i conti con una bestia nuova e poco gestibile, le cripto-valute, che hanno aggiunto ulteriore rischi e incertezze (Signature Bank, diversamente da SVB, proprio sulle cripto-valute aveva scommesso). Infine, quello finanziario rimane un sistema globale e altamente integrato, dove i riverberi di una crisi o di una bancarotta tendono ad attivarsi immediatamente e a essere poco contenibili. Se ci soffermiamo poi sul caso statunitense vediamo che alcune delle fragilità che portarono alla crisi del 2007-8 sembrano essere nuovamente presenti. Tutta la liquidità iniettata nel sistema – coi bassi tassi, il quantitative easing e i vari stimoli per rispondere alla pandemia – ha sì contribuito a crescita e bassa disoccupazione, ma ha anche alimentato una evidente spirale speculativa, in ambito finanziario così come in quello immobiliare. L’indice borsistico di Wall Street, il Dow Jones, è cresciuto di quasi il 500% tra inizio 2009 e fine 2021; i prezzi degli immobili – secondo l’indice Case-Shiller – sono più che raddoppiati nello stesso periodo; il risparmio privato, individuale e familiare, come percentuale del reddito disponibile è tornato ad avvicinarsi pericolosamente allo zero. Insomma, il rischio di una tempesta perfetta è dietro l’angolo; la possibilità che, nel caso, resti circoscritta agli Usa non contemplabile; la necessità di alzare ancor di più la guardia, e gli strumenti di regolamentazione, inderogabile.
Il Giornale di Brescia, 14 marzo 2023