Era attesa da giorni – lo stesso Trump l’aveva preannunciata – e l’incriminazione di Trump da parte della procura di Manhattan è infine arrivata. I capi d’imputazione, che paiono essere plurimi, saranno dettagliati la prossima settimana. Due sembrano essere quelli principali. Il primo è la falsificazione dei libri contabili, rubricando come spesa legale il pagamento di 130mila dollari all’ex pornostar Stormy Daniels per comprarne il silenzio su una loro passata relazione. Il secondo è la violazione della legge sul finanziamento alle campagne elettorali. Reato in teoria più grave, quest’ultimo, ma che ricade sotto la giurisdizione federale e sul quale non è chiaro se la procura di New York possa rivendicare una piena competenza.
Difficile capire cosa ne possa conseguire. Come spesso con Trump, si entra una volta ancora in una terra sconosciuta, che non vi sono precedenti di un ex Presidente, ricandidatosi alla Casa Bianca, messo in stato di accusa da una procura per reati penali. La vicenda è destinata a dominare (e saturare) il confronto politico e la discussione pubblica, anche perché in parallelo varie altre indagini sono in corso, in particolare quelle relative al ruolo e alle responsabilità di Trump rispetto al tentativo eversivo d’impedire la certificazione del voto presidenziale del 2020 e al violento assalto al Congresso del 6 gennaio 2021.
L’indagine può tanto danneggiare quanto, paradossalmente, aiutare Trump. Del quale viene esposta una volta ancora tutta la inadeguatezza etica e, quindi, istituzionale. L’ex Presidente proclama di essere vittima di una tentata estorsione, nega qualsiasi relazione con la Daniels, ma non contesta di avere in ultimo pagato per farla tacere. Atto, questo, che rimanda una volta di più al mondo torbido e sempre al confine tra legalità e illegalità dentro il quale l’ex Presidente ha operato per decenni come imprenditore e grazie al quale ha avuto una presenza pubblica poi sfruttata per entrare in politica. Per quella parte probabilmente maggioritaria dell’opinione pubblica che ritiene Trump inidoneo a occupare cariche elettive, l’inchiesta della procura di Manhattan costituisce insomma una conferma e una validazione. All’elettorato democratico offre una ragione in più, in prospettiva 2024, per attivarsi e se necessario andare massicciamente alle urne.
Trump però potrebbe anche beneficiare di questa inchiesta e le sue dichiarazioni delle ultime settimane indicano chiaramente la sua intenzione di sfruttarla politicamente. L’incriminazione, infatti, lo rimette sotto i riflettori, e gli permette di alimentare una narrazione vittimista e cospirativa che sappiamo essere straordinariamente mobilitante per la sua base. Obbliga i leader repubblicani, che di Trump si libererebbero molto volentieri, a fare quadrato attorno all’ex Presidente nel denunciare la strumentalità politica dell’indagine, anche per evitare una defezione di massa dei sostenitori di Trump, che continuano a rappresentare un pezzo importante dell’elettorato conservatore. Infine, rischia di delegittimare le altre indagini in corso su reati per molti aspetti assai più gravi di quelli di cui si occupa la procura di New York. Per riassumere, se letta in prospettiva 2024 l’incriminazione di Trump potrebbe rafforzarlo nelle primarie repubblicane ma indebolirlo ancor di più nella corsa a un secondo mandato di suo assai complicata se non improbabile.
Sullo sfondo resta lo stato di patente sofferenza della democrazia statunitense, costretta a confrontarsi con vicende per le quali è priva di strumenti e precedenti, e con una radicale frattura interna che la rende ancor più fragile e instabile. Sofferenza, questa, di cui Trump, le sue vicissitudini e la sua inadeguatezza sono per molti aspetti più effetto e conseguenza che causa.
Il Giornale di Brescia, 1 aprile 2023