Il viaggio di Macron in Cina e le sue successive dichiarazioni hanno fatto scalpore e generato non poche polemiche. Il Presidente francese – che poi è stato costretto a moderare in parte il tiro – ha sollecitato una mediazione cinese nel conflitto ucraino, minimizzato l’interesse europeo rispetto a Taiwan e, ribadendo la necessità di una maggiore autonomia strategica della UE, sostenuto la necessità di non seguire sempre e comunque gli Usa, evitando di essere trascinati nella loro competizione con la Cina (essere “alleati” non significa essere “vassalli”, ha sostenuto Macron).
Ne è seguito un profluvio di critiche in cui si sono distinti soprattutto molti falchi repubblicani negli Usa e i leader di alcuni paesi dell’Europa orientale, la Polonia su tutti, il cui Premier Mateusz Morawiecki ha riesumato la partizione tra “vecchia” e “nuova” Europa usata vent’anni fa dall’allora Segretario della Difesa statunitense Donald Rumsfeld. Una “nuova Europa”, ha affermato Morawiecki, che diversamente da quella “vecchia” è consapevole della minaccia che “l’impero del male” dei “barbari russi” porta oggi al Vecchio Continente e al mondo intero.
Per esaminare le parole di Macron e la visione politica che esse esprimono è necessario uscire da questi schemi molto binari e grossolani, per provarne a individuarne le matrici, storiche e strategiche, i meriti (che vi sono) e le contraddizioni (che sono profonde).
Le matrici, innanzitutto. Esse rimandano a una tradizione consolidata della politica estera di Parigi: un gollismo che vede in un’Europa a leadership francese il mezzo per meglio promuovere e tutelare l’interesse nazionale. Perché – Brexit docet – è velleitario credere che una media potenza come la Francia possa perseguire tale interesse isolatamente e fuori dalla cornice europea; perché una maggiore autonomia strategica valorizza una dimensione della potenza, quella militare, in cui Parigi è nettamente superiore dentro la UE; perché di fonte ai processi di frammentazione dell’ordine globale cui stiamo assistendo, solo la dimensione europea può permettere di difendersi e promuovere programmi ambiziosi e immensamente onerosi, come la crisi pandemica ci ha ricordato.
E questo ci porta ai meriti della visione e della proposta di Macron. Il primo si collega al rischio generato dall’attuale escalation delle tensioni tra Cina e Stati Uniti. Le quali paiono avvilupparsi in una spirale che rende sempre più impotenti le voci della moderazione e del buon senso, alimentando invece quelle più radicali come vediamo anche nei toni che ha assunto il dibattito politico degli Stati Uniti. Usa che chiedono all’Europa di partecipare a un’azione globale di contenimento della Cina, concorrendo a ridurre la loro interdipendenza economica col gigante cinese, ma che poi adottano misure – si pensi alla politica industriale di Biden – che discriminano i partner europei e che violano apertamente le regole del commercio internazionale. Violazioni, queste, che rimandano una volta di più ai frequenti doppi standard statunitensi rispetto a legalità e regole. L’europeismo macroniano, insomma, diventa strumento per difendersi anche da un alleato che spesso, troppo spesso, abusa dei suoi privilegi egemonici.
E però – come per altri presidenti francesi prima di lui da De Gaulle a Hollande – quella di Macron è una visione indebolita da tante contraddizioni. Perché ambire a guidare l’Europa, a essere egemone regionale, significa assumere responsabilità e fare concessioni, pena soffrire di quel deficit di leadership che spesso (e giustamente) si imputa agli Usa. E invece la Francia ama sovente giocare come battitore libero, agendo autonomamente e talora in aperta competizione con i suoi partner europei. Non si sognerebbe mai di europeizzare il suo seggio permanente all’ONU, grottesca vestigia di un’era che ha da tempo cessato di esistere; crede velleitariamente di poter ancora svolgere un ruolo rilevante nell’Indo-Pacifico; in Medio Oriente o Nord Africa quasi mai si coordina con gli alleati europei. Ed è questo europeismo intermittente e strumentale, più che presunte defezioni da una lealtà atlantica fattasi non poco problematica, la principale debolezza della proposta macroniana.
Il Giornale di Brescia, 15 aprile 2023