È scaduto la notte scorsa il Titolo 42, la norma eccezionale utilizzata negli ultimi tre anni sia da Trump sia da Biden per bloccare alla frontiera meridionale centinaia di migliaia di persone che cercavano di entrare negli Stati Uniti. E dalla California al Golfo del Messico masse di migranti premono per avere accesso negli Usa e vedere vagliata la loro richiesta di asilo, in un altro passaggio di questa perenne crisi al confine.
Il Titolo 42 era stato giustificato dalla pandemia, ma serviva in realtà per alleggerire la pressione sulle autorità statunitensi, permettendo loro di respingere immediatamente chi provava a entrare nel paese senza documenti. Un respingimento rapido e immediato, questo, che però ha generato vari corto-circuiti, su tutti il fatto che per essere rapida l’espulsione non si accompagnava a sanzioni amministrative (e, se reiterata, penali) e quindi i respinti potevano continuare a cercare di oltrepassare il confine. Ora si rientra in schemi almeno in parte abituali, con l’utilizzo di norme (il Titolo 8) che prevedono il vaglio della domanda di ammissione – da presentarsi preventivamente, anche su un applicativo creato dal dipartimento della Homeland Security – e sanzioni (prima amministrative e poi penali) a chi cerca di aggirare le procedure ed entrare illegalmente.
Le scene degli ammassamenti al confine ci mostrano però quanto fluida, incerta e politicamente esplosiva sia la situazione. Lo scadere del Titolo 42 ha indotto taluni a fare un ultimo, disperato tentativo; il passaggio a meccanismi in teoria meno rigidi e draconiani – e la disinformazione artatamente alimentata da criminali che gestiscono il profittevole business dell’immigrazione illegale – ha convinto altri che oggi sia più facile venire ammessi negli Usa (così, in realtà, non è). E la pressione alla frontiera si è fatta ancor meno sostenibile per strutture – statali e federali, civili e militari – comunque sottodimensionate rispetto alla portata della sfida.
La vicenda è rilevante, e politicamente significativa, per almeno due ragioni, una interna agli Usa e una globale. Innanzitutto, perché rivela la vulnerabilità di Biden e dei democratici sul tema. Non è vero, come si sente dire, che non vi sono differenze tra la linea di questa amministrazione e quella seguita quando Trump era alla Casa Bianca. Biden ha aumentato di quasi dieci volte il numero di visti per rifugiati, ha promosso un piano straordinario di aiuti ai paesi centro-americani, da cui provengono molti migranti, ha rilanciato proposte per la regolarizzazione degli immigrati presenti illegalmente nel paese, ha riattivato e potenziato il programma (DACA) per quelli entrati nel paese quando erano minori, e ha posto termine alla politica inumana di separazione dei bambini dalle loro famiglie. Ha però anche agito in modo spesso erratico e incoerente, cambiando idea sull’applicazione del Titolo 42 e disattendendo ben presto le aspettative, e le richieste, della Sinistra democratica e di molte organizzazioni per i diritti umani. Alcune politiche hanno prodotto inattesi effetti collaterali, si pensi solo al caso degli adolescenti ammessi con più facilità, e meno verifiche, nel paese e precipitati non di rado nel mondo terribile del lavoro minorile e del suo sfruttamento. La linea di Biden è stata denunciata come troppo morbida da una Destra che sa di poter cavalcare un tema elettoralmente vincente e come troppo punitiva e severa da una parte dei militanti democratici. L’auspicio, del Presidente e dei suoi consiglieri, è di riuscire a contenere la crisi in questi primi giorni di transizione normativa e gestirla nei mesi a venire, sottraendola a riflettori mediatici che possono danneggiare le prospettive dei democratici nel ciclo elettorale dell’anno prossimo. Ma sarà molto complesso riuscirvi.
Pur con tutte le sue peculiarità, si tratta peraltro di un problema, e di un tema politicamente caldo, non solo per gli Usa. I processi migratori pongono una sfida – immensa e talora quasi impossibile – alla politica dei paesi più ricchi. Una sfida che non può essere affrontata con misure tampone e dal fiato corto, o con facili opportunismi politico-elettorali. Che ne va della vita di milioni di persone; e che ne va della tenuta di democrazie in grande difficoltà di fronte a una questione complessa, polarizzante e particolarmente esposta alla retorica demagogica e grossolana che spesso ahimè l’accompagna.
Il Giornale di Brescia, 13 maggio 2023